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2025.10.18 Il tribunale civile condanna l'ospedale: "Sbagliato l'intervento, risarcite i danni"

  • mariofornasari
  • 23 ott
  • Tempo di lettura: 2 min
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Il Tribunale civile di Ferrara ha riconosciuto la responsabilità dell’Azienda Ospedaliero-Universitaria di Cona per la morte anticipata di Elisabetta, accertando l’errore nella scelta e nell’esecuzione dell’intervento chirurgico che ne ha compromesso le possibilità di sopravvivenza. Ha stabilito il risarcimento del danno dal punto di vista materiale, nonostante la perdita e il vuoto non siano risarcibili.

Sono grato alla giudice per la sensibilità e l’equilibrio con cui ha affrontato una vicenda tanto dolorosa quanto complessa. La sentenza riconosce, con parole chiare, che la condotta dei sanitari ha provocato la recidiva pelvica e quindi l’anticipazione del decesso: l'équipe era guidata dal professore Pantaleo Greco e composta da Ruby Martinello e Ilaria Iafelice.

Quello che mi è stato notificato il 20 ottobre è un passo importante verso la verità, e lo accolgo con rispetto.

Comprendo anche la prudenza del Tribunale nel mantenersi nel solco della consulenza tecnica d’ufficio, non sempre condivisibile: una scelta che tutela la stabilità della decisione e riduce le possibilità di impugnazione. Da parte mia, non presenterò appello. Mi costituirò solo nel caso in cui la controparte decida di ricorrere.


Resta tuttavia necessario ricordare alcuni punti essenziali, che vanno oltre il caso personale e rimangono momenti controversi nelle ricostruzioni del caso


  • Un tumore uterino al primo stadio, correttamente trattato, non è oggi una condanna. Le percentuali di sopravvivenza a cinque anni superano spesso l’80%, e dopo i cinque anni la probabilità di recidiva tende a diminuire, non ad aumentare.

  • Le recidive non sono mai automatiche. Nel caso di Elisabetta, la morcellazione – una procedura sconsigliata da tutte le linee guida italiane e internazionali per le lesioni di natura non determinata – ha avuto un ruolo determinante nella disseminazione delle cellule tumorali e quindi nella successiva ripresa della malattia.

  • Il diritto alla salute e all’autodeterminazione del paziente è un diritto prevalente, sancito dalla Costituzione e dalla legge. Ogni persona ha il diritto di essere pienamente informata sui rischi di un intervento e di poter scegliere consapevolmente. Lei non lo fu, come non fu adottato dai sanitari quel principio che dovrebbe restare al centro dell’etica medica.

  • Le cure successive – comprese quelle complesse e costose – non sarebbero state necessarie se l’intervento iniziale fosse stato eseguito con la prudenza e le cautele dovute. Un luminare dell’immunologia italiana, che visitò Elisabetta subito dopo la comparsa della recidiva, ci espresse tutti i suoi dubbi sulle chemioterapie successive al primo intervento perché non necessarie: non sapeva lui, e non sapevamo nemmeno noi, che non erano preventive rispetto al sarcoma di stadio I, ma un maldestro e intempestivo tentativo di limitare i danni dopo la disseminazione conseguente alla morcellazione in sala operatoria.

  • Elisabetta aveva intuito fin dal primo momento di essere stata operata in modo inadeguato e superficiale, tanto da convincermi ad accompagnarla ad una visita di controllo da uno specialista a Monza, svariati mesi prima che la tac le diagnosticasse la recidiva: non si fidava dei sanitari di Ferrara. Era lucida e consapevole, lo scrisse in modo chiaro sul suo diario della malattia: "Non hanno usato precauzioni".


La ricerca della verità, anche quand’è parziale e non collima con le proprie valutazioni, resta comunque la sola forma possibile di giustizia e rimane la base di un'informazione che voglia rispettare criteri minimi di deontologia professionale.


 
 

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