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2023.03.27 Relazione medico legale

  • mariofornasari
  • 5 gen 2024
  • Tempo di lettura: 20 min



Dopo gli approfondimenti chirurgici e oncologici, affido alla dottoressa Chiara Riviello l'incarico di completare il quadro della tragedia, dall'intervento chirurgico alla scomparsa di Elisabetta: le probabilità di sopravvivenza erano molto elevate se le pratiche mediche fossero state corrette, tempestive e, soprattutto, adeguate






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Dr.ssa Chiara Riviello

 

MEDICO CHIRURGO

Spec. Ginecologia e Ostetricia

Spec. In Medicina Legale

Consulente Tecnico di Ufficio presso il Tribunale di Milano

Futura Diagnostica Medica, Firenze


 

 

Per gentile incarico del sig. Mario Fornasari in qualità di erede, ho analizzato la documentazione della sig.ra Elisabetta Marcigliano, nata il 25/07/1965 e deceduta il 20/07/2021 di professione inizialmente imprenditrice e una volta chiusa azienda di famiglia, casalinga con la passione per il canto, grazie al quale organizzava eventi a scopo benefico. La presente relazione intende analizzare incongruità comportamentali che hanno caratterizzato l’iter sanitario della de cuius e valutare il nesso di causa con l’exitus.

 

ESAME DEGLI ATTI:

Dalla documentazione esaminata e dalle relazioni allegate del dott. Luciano Isa, specialista in oncologia medica e medicina interna e del dott. Giorgio Scagliarini specialista in ginecologia e ostetricia, emerge che la sig.ra Elisabetta fu ricoverata, nel primo pomeriggio del 15/08/2018 presso P.O. - Universitario di Ferrara, per “Algie addominali, neoformazione endouterina di ndd in menopausa”. Gli accertamenti eseguiti quali la TAC torace + addome senza e con mezzo di contrasto, rilevarono: “Modesto aumento volumetrico dell’utero; in sede endouterina si conferma la presenza di formazione ovoidale (50 x 88 x58 mm) a limiti netti, a densitometria disomogenea, caratterizzata da piccole areole ipodense periferiche con valori densitometrici assimilabili al tessuto adiposo ed areole sfumate di enhancement dopo infusione di m.d.c. … Nell’indagine ecografica di 2° livello veniva descritto “Utero AVF di regolare volume e morfologia (mm 90x61x65) ad ecostruttura disomogenea per la presenza di una formazione rotondeggiante solida ad ecostruttura disomogenea, di 56x46x55 mm, non vascolarizzata, a carico della parete uterina anteriore. Tale formazione altera la morfologia e disloca la cavità endometriale, rendendo la rima endometriale mal visualizzabile. Nei tratti esplorati endometrio sottile. Margine libero miometriale 3 mm sulla parete anteriore”.

Il giorno successivo al ricovero (16/08/2018) venne eseguita isteroscopia diagnostica + biopsia endometriale in anestesia generale/anestesia loco-regionale (AG/ALR) nella quale fu descritta una cavità uterina occupata da neoformazione polipoide. La parete uterina anteriore risultò lievemente improntata da verosimile formazione leiomiomatosa intramurale. A carico della parete posteriore fu rilevato un polipo di 1,5 cm che fu asportato e inviato per esame istologico.

Il 17/08/2018 la signora Marcigliano fu dimessa e programmata per un intervento di isterectomia con urgenza A. L’esito della biopsia endometriale di “Polipo ghiandolare endometriale atrofico-cistico” fu consegnato in data 8/9/2018 successivamente alla data dell’intervento chirurgico.

In data 5/9/2018 la sig.ra Marcigliano si sottoponeva, presso la medesima Clinica all'intervento così descritto: “LPS (laparoscopia, NdR) operativa: isterectomia totale annessiectomia bilaterale, ev lisi di aderenze, ev. chirurgia sul tratto gastrointestinale e/o sulle vie urinarie, ev laparotomia”.

Introdotta l’ottica si visualizza l’utero a morfologia irregolare e di dimensioni aumentate per la presenza della nota neoformazione uterina di circa 6 cm a carico della parete anteriore dell’utero, tenaci aderenze fra sigma, retto e vagina fino alla cervice (nota endometriosi del setto), entrambi gli annessi nella norma, non lesioni macroscopicamente evidenti in addome. Introduzione del trocar ancillari da 5 mm, sotto visione (il sinistro e il centrale). Lisi di aderenze tra peritoneo parientale ed omento. Introduzione del trocar ancillare di destra da 5 mm, sotto visione. Coagulazione e sezione del legamento rotondo di destra, apertura del foglietto posteriore del legamento largo, visualizzazione dell’uretere destro lungo il suo decorso pelvico. Coagulazione e sezione del legamento infundibolo pelvico di destra. Stessi tempi a sinistra. Scollamento, coagulazione e sezione della plica vescico uterina. Coagulazione e sezione dei vasi uterini bilateralmente. Colpotomia circolare. Estrazione del pezzo operatorio per via vaginale con morcellazione. Colporrafia per via vaginale a punti staccati, controllo dell’emostasi...

 

Nella cartella clinica alla voce intervento si legge anche: “sostituisce il precedente n 303 del 06/09/2018 disconvalidato da Iafelice Ilaria 07/09/2018” Nonostante ne avesse fatto richiesta, il sig. Fornasari non ha mai ricevuto la versione precedente alla modifica.

Nella lettera di dimissione è riportata la seguente dicitura: “Ingresso in data 05/09/2018 con diagnosi di neoformazione uterina... in data 06/09/2018 è stata sottoposta ad intervento chirurgico di isteroannessiectomia bilaterale ed adesiolisi in laparoscopia. Torna in data 04/10/2018 alle ore 9.30 per il ritiro del referto dell’esame istologico.”

Nonostante l’iniziale termine della risposta istologica era stabilita per il 04/10, in tale data è riportata in cartella la dicitura: “esame istologico non ancora pronto, contattata la paziente per riprogrammare il ritiro dell’esame istologico.” Questo fu consegnato in data 31/10/2018 compatibile con sarcoma uterino definito al I stadio e le fu consigliato di sottoporsi dopo una TAC di ri-stadiazione a un trattamento chemioterapico.

Tale referto presenta la seguente descrizione macroscopica: “Corpo uterino pervenuto marcatamente lacerato e in corrispondenza della verosimile parere posteriore di cm 7,5 x6x5,5. Il perimetrio è brunastro, irregolare…. All’esame microscopico emerge:

Tumore mesenchimale dell’utero di non univoca interpretazione, costituito da noduli di sarcoma a cellule rotonde, del diametro maggiore di circa 1 cm, con atipia medio grado, attività mitotica nell’area più̀ cellulata (5 mm di diametro) pari a 15 mitosi per 10 HPF su 40 campi ed attività proliferativa (Ki-67) pari al 25-30% nelle aree più cellulate, con focale componente intravascolare, associato a lipoleiomioma atipico dissecante alla periferia i fasci miometrali. Cervice, endometrio inattivo e annessi esenti da neoplasia.

Caratterizzazione immunofenotipica del tumore: positivo per ER e PR: positivo per desmina nella componente ben differenziata di tipo leiomiomatoso e solo in rare cellule nella componente scarsamente differenziata; rare cellule positive per citokeratina AE1/AE3; positivo per actina e desmina nella componente ben differenziata di tipo leiomiomatoso in un preparato; irregolarmente e debolmente positivo per WT1 e CD10; rari nuclei positivi per ciclina D1. Positivo per p16 e negativo per p53 nella componente scarsamente differenziata. Negativo per CK7, CK20, CK 5/6, PCT, MLA, CD99, CD34, ALK, HMB45 ed S100.


Alla consegna dell’esame istologico viene riportata la conclusione diagnostica “sarcoma uterino I stadio” e consigliata chemioterapia dopo TAC di ri-stadiazione.

La sig.ra Marcigliano iniziò un percorso di chemioterapia adiuvante a base di Epirubicina e Ifosfamide per 4 cicli e fu presa in carico presso il day-hospital della U.O. di Oncologia il 23/11/2018 con inizio del primo ciclo in data 04/12/2018.

Tra il dicembre 2018 e il febbraio 2019 eseguì e terminò 4 cicli di chemioterapia, e successivi controlli di follow up, che nel maggio 2020 a circa 20 mesi dal primo intervento, mostrarono nello scavo pelvico la recidiva tumorale in forma di profili lobulati con componente prevalentemente fluida, con gettoni solidi nel contesto, di 11x12x12 cm. Non si evidenziò un sicuro piano di clivaggio con il moncone vaginale in stretta adiacenza alla parete supero-laterale sinistra della vescica, al sigma medio-distale e al cieco. Al riscontro PET-FDG (15/05/2020) corrispose una ipercaptazione patologica (SUV max 7,9) a carico della formazione pelvica, ad una RMN di approfondimento del 27/05/2020 si evidenziò una formazione espansiva in sede pelvica-mesogastrica, delle dimensioni di 21x19x8,2 cm, non dissociabile dal profilo antero-superiore del moncone vaginale, con componente fluida pluriconcamerata che improntava la vescica e lambendo il cieco, il colon discendente, il sigma, alcune anse del tenue e la parete addominale anteriore, senza piano di clivaggio verso dette strutture, determinandosi per essa una compressione della vena cava inferiore (VCI) e delle vene iliache comuni.


A seguito di varie consulenze, la sig.ra Marcigliano si sottopose ad un trattamento chemioterapico alternato con monitoraggio TAC, fino al ricorso alla chirurgia con finalità debulking avvenuta 16/09/2020. Dal raccordo anamnestico dell'oncologia di Ferrara, eseguito durante la visita del 17/11/2020 emerge che si trattò di una chirurgia R2 (con residuo macroscopico di malattia). L’esame istologico descrisse un tessuto espressione di recidiva di sarcoma connotato da alto indice di replicazione (Ki-67= 80%). Dopo valutazione oncologica collegiale fu proposto l’avvio di chemioterapia con Trabectidina, oltre al trattamento antalgico. Ad una TAC del 24/02/2021 emergeva la persistenza di alcune formazioni nodulari adese alla parete vescicale adiacenti alle pareti del sigma e delle anse ileali (la maggiore del diametro di 22x20 mm) suggestive del residuo di malattia e la insorgenza di una grossolana lesione espansiva nodulariforme delle dimensioni di circa 53 x45 mm caratterizzata da componente  fluida e gettoni solidi contestuali, localizzata in fossa iliaca destra tra il colon discendente e il polo renale inferiore omolaterale suggestiva per ripetizione della malattia di base. Ulteriori formazioni nodulari, di analogo significato, furono osservate ancora in fossa iliaca destra e in ipogastrio strettamente adese alle anse dell’ileo distale la maggiori del diametro di 36 x 20 mm 25x 12 mm.  A livello toracico comparve una formazione nodulare di 7 mm alla pleura costale al lobo inferiore destro mentre sostanzialmente stabile si mantenne la nota lesine nodulare di 6 mm al LSD. Fu deciso di sospendere il trattamento con Trabectidina e di introdurre il Pazopanib, farmaco da assumere per via orale, il quale, tuttavia fu gravato da effetti collaterali marcati quali l’aggravamento della fistolizzazione vescico-vaginale, già presente in fase post chirurgica. Alla TAC Total-body di rivalutazione del 19/05/2021, si evidenziò un marcato incremento volumetrico e numerico degli impianti metastatici con conglomerazione degli stessi che impegnano l’intero scavo pelvico. I foglietti peritoneali nella doccia parietocolica apparvero marcatamente ispessiti e iperdensi con gettoni neoplastici parietali.


Fu, altresì, evidente una compressione da parte di queste neoformazioni a carico della vescica.

L'assistenza clinica fu caratterizzata dalla necessità di importante supporto analgesico  di assistenza infermieristica e di ricoveri programmati presso l’Hospice Casa della Solidarietà, Fondazione ADO di Ferrara, presentandosi criticità nella gestione del dolore, della fistola vescico-vaginale, con associato rischio di estensione a fistola rettale, nella gestione degli stent ureterali bilaterali e nella necessità di bronco-aspirazioni da accumulo di secrezioni nell’albero bronchiale e mancanza di forza per la loro espettorazione. L’indice di validità̀ fu stimato pari al 40% (Karnosky index) per cui si passò ad un trattamento palliativo per migliorare la qualità̀ di vita residua. La disabilità molto compromessa negli ultimi 3 mesi lo divenne in modo severo a una valutazione dei Palliativisti il 5/7/2021, quando si stimò un performance status del 30% e il quadro clinico divenne sempre più grave in un contesto di sofferenza globale. Fu avviata la procedura di sedazione il 18/07/2021 in condivisione con il marito e la Paziente stessa. Alle ore 7.10 del 20/07/2021 la sig.ra Marcigliano, assistita in Hospice, giunse all’exitus.

 

CONSIDERAZIONI MEDICO LEGALI

 

Nella presente relazione, con l'ausilio delle considerazioni degli specialisti che hanno valutato precedentemente il caso, oncologo e ginecologo, si analizzeranno le tappe della gestione della patologia della sig.ra Marcigliano, ponendo l'attenzione sui seguenti punti:

1.    Possibilità/ capacità diagnostica pre-intervento chirurgico

2.    Correttezza dell’intervento chirurgico

3.    Correttezza del percorso successivo all’intervento chirurgico

4.    Valutazione del nesso di causa con l’exitus

5.    Valutazione del danno 

 

 

1 Possibilità/ capacità diagnostica pre-intervento chirurgico



Come emerge dalle considerazioni del consulente oncologo la capacità diagnostica per un sarcoma uterino giunge al 64%. Si tratta comunque sempre di un risultato da ritenersi coronato da successo nella maggioranza dei casi seppur di livello inferiore a quello atteso per i tumori epiteliali che rappresentano l’istotipo più frequente, rispetto a quelli mesenchimali in cui sono, appunto, annoverati i sarcomi che originano dallo strato miometrale che rappresenta la tonaca muscolare della parete uterina. Sostanzialmente lo stesso risultato è stato raggiunto, nelle donne in menopausa, in uno studio pubblicato ancor più recentemente presso Istituzione di riferimento onco-ginecologico internazionale statunitense: nel 65,9% dei casi di donne, in post-menopausa, con l’isteroscopia preoperatoria è stato possibile diagnosticare il sarcoma uterino aumentando di tre volte la capacità diagnostica rispetto alla assenza del sampling isteroscopico.

Si osserverà̀, invece, che in occasione dell’isteroscopia diagnostica in riferimento alla biopsia endometriale, al curetage e alla citologia endometriale non vennero eseguite procedure indicando “no”. Vi sarebbe stata inoltre la possibilità di aggiungere nel work-up diagnostico preoperatorio, stante il rischio su base clinica che si assommava nella paziente, l’esecuzione di una RMN della pelvi, tra le indagini più affidabili anche se, anch’essa, di efficacia non assoluta, ricercando la possibilità di eseguirla con apparecchiatura “aperta” (come già̀ fatto per la TAC) per superare la nota avversione (claustrofobica) della sig.ra Marcigliano per i luoghi chiusi condizione che non la fece aderire al consiglio di eseguire l’esame RMN nell’aprile 2015 formulato allora dall’ecografista.

Si tenga infatti presente che pur nella nota rarità dei sarcomi dell’utero, incidendo essi per l’1-2% di tutte le neoplasie uterine (qui si cita il riferimento internazionale di maggior accreditamento che è il FIGO Cancer Report, 2018, di epoca coeva agli accadimenti qui narrati) di fronte a una neoplasia uterina, secondo lo stato dell’arte, il sospetto della sua malignità deve sorgere ogni qualvolta ci si trovi di fronte a una tumefazione che cresce in post-menopausa in donne che non stanno assumendo terapia sostitutive ormonali, si trattò di una evenienza del tutto coincidente a quanto stava accadendo alla sig.ra Marcigliano.

La cautela deve essere massima in questi casi tenendo inoltre presente che i sarcomi uterini hanno una prognosi sfavorevole, tuttavia, è sempre lo stadio che definisce la gravità prognostica e, dunque la tensione, anche in questi casi, deve essere indirizzata a una diagnosi precoce.

La recidiva di malattia, condiziona inoltre pesantemente la prognosi, occorre pertanto che venga scongiurato, laddove possibile, questo rischio.

È evidente che i sanitari avevano la possibilità di diagnosticare la patologia tumorale di cui la Marcigliano era affetta o quanto meno avevano a disposizione svariati indizi che facevano sospettare una natura non benigna della lesione.

Non è stata ricoverata con diagnosi di fibroma uterino ma di “neoformazione endouterina di ndd in menopausa”, in questa terminologia è ben chiaro il sospetto di neoplasia maligna, sospetto supportato sia dalla comparsa/accrescimento di una massa in menopausa, periodo nel quale gli stimoli ormonali sono assenti, sia dagli aspetti ecografici e TAC di detta massa (quali la disomogeneità, la vacuolizzazione e la dislocazione della rima endometriale). L'intervento è stato programmato con urgenza A ad ulteriore conferma del sospetto di patologia neoplastica.

Dato tale sospetto, non si comprende per quale motivo i sanitari non abbiano proceduto alla biopsia della massa in corso di isteroscopia, occasione importante e obbligatoria per valutare l'istologia e la natura della stessa. Se così fosse stato fatto, l'iter chirurgico sarebbe stato sicuramente condotto con diverso accesso, per via addominale con rimozione in blocco isteroannessiectomia bilaterale e probabilmente non sarebbe stato necessario alcun trattamento adiuvante.

Come di vede dal video dell’intervento, infatti, l’utero prima dell’asportazione era intatto, non vi era infiltrazione neoplastica del perimetrio da parte della neoplasia, pertanto il rischio di recidiva o disseminazione metastatica, se asportato in toto, sarebbe stato minimo.

 

  1. Correttezza intervento chirurgico

In accordo con quanto riportato nella relazione del dr. Luciano Isa l'intervento chirurgico eseguito sulla sig.ra Marcigliano è stato incongruo, contrario alle linee guida, con metodologia della quale la paziente non era stata edotta e causa esso stesso della progressione di stadio del sarcoma.

Il provvedimento chirurgico cardine, l’isterectomia addominale con annessiectomia, da provvedervi per via laparotomica classica, riduce al minimo le possibilità di dispersione e impianto delle cellule tumorali nella cavità addominale. Di converso la tecnica laparoscopica associata alla morcellazione determina in termini di “più̀ probabile che non” la recidiva intra-addominale della malattia. Una volta che detta ripresa di malattia si sia manifestata, data la scarsità della possibilità di controllarne la sua evoluzione con i mezzi terapeutici disponibili, essa è invariabilmente foriera di esito infausto come è stato dimostrato da una consistente revisione sistematica della letteratura e metanalisi.

Ad ogni modo nell’eventualità̀ si decida per una isterectomia laparoscopica con morcellazione con l’obiettivo di ridurre la morbilità̀ della procedura nei confronti della tecnica laparotomica addominale è indispensabile, come sancito dalla buona pratica clinica e dalle raccomandazioni delle Società Scientifiche, ottenere il consenso dalla paziente che deve essere pienamente informata del rischio di disseminazione di un eventuale sarcoma occulto che può essere correlato con questa procedura mini-invasiva.


Infatti, come anticipato, per poter dar corso a dette tecniche laparoscopiche per superare le difficoltà di rimuovere i grandi pezzi di tessuto attraverso le piccole incisioni della laparoscopia, occorre ridurre detti tessuti frammentandoli con il procedimento che prende il nome appunto di “morcellazione” superando, in questo modo, la necessità di allargare gli accessi addominali e di favorire l’utilizzo della via vaginale per l’estrazione come avvenuto nel caso di specie.

Detta pratica, nota da diversi lustri, ha portato però alla luce la reale possibilità di disseminazione di sarcomi occulti ritenuti pre-operatoriamente innocui leiomiofibromi.

La problematica è ben nota dopo che la morcellazione fu portata alla ribalta nell’opinione pubblica americana e poi internazionale ponendola sotto accusa, per la diffusione intraddominale di un sarcoma uterino creduto inizialmente un miofibroma come accadde, per il caso indice, a danno di una giovane, medico anestesista, che dopo pochi mesi dall’isterectomia attuata con morcellazione, sviluppò un sarcoma addominale che la fece soccombette alla malattia all’età̀ di 44 anni. La tecnica è stata, da allora, oggetto di richiami formali da parte delle Autorità regolatorie e delle Società scientifiche, dapprima americane poi estese al resto del mondo. La prima segnalazione è stata quella della FDA con un “Safety Information” emanato il 17/04/2014 cui seguirono vari aggiornamenti. Allo stesso modo fu emanato sul tema uno specifico richiamo da parte dell’American College of Obstetricians and Gynecologists (ACOG) aggiornato periodicamente. Sull’argomento è ritornata, del tutto recentemente, lo stessa Istituzione americana riaffermando, con linee guida, che:  “L'ostetrico-ginecologo e il paziente dovrebbero impegnarsi in un processo decisionale condiviso, sulla base di un consenso informato, in cui siano ben spiegati i rischi e i benefici di ogni approccio alla chirurgia per presunti leiomiomi, i rischi e i benefici della morcellazione e le alternative alla morcellazione” In pratica tutte le Società Scientifiche internazionali scoraggiano l’uso di questa tecnica anche se non è proibita; la decisione di metterla in pratica è comunque fondata sulla corretta e piena condivisione della procedura con la paziente, prerequisito qualificante per la sua esecuzione. Si deve constatare che, purtroppo, nel caso di specie, la necessaria informazione su questo specifico punto, non è stata per nulla condivisa con la Paziente lasciandola all’oscuro della scelta procedurale tecnica messa in atto dall’operatore. Gli aspetti su cui convogliare l’attenzione della Paziente per giungere a una decisione condivisa con il Curante avrebbero dovuto tener conto, sulla base di quanto già anticipato, sull’inquadramento del rischio tenendo presente quelle che sulla base dei dati consolidati della letteratura possono essere ritenute degli allarmi quali età, stato menopausale, accrescimento e work-up preoperatorio sospetto e far confluire il ragionamento clinico verso un rischio, non indifferente, di patologia non benigna.

 

Oltre alle raccomandazioni prodotte dalle Società Scientifiche internazionali sull’orientamento per la morcellazione, con tutti i riferimenti ai fattori di rischio già menzionati, è inoltre da considerare che laddove, a fronte di una decisione ragionata (condivisa tra Paziente e Curante) di adottare questa tecnica, essa non può essere disgiunta da misure di abbattimento del rischio di disseminazione ricorrendo all’utilizzo di sistemi di contenimento, denominati endo-bag, rappresentati da sacca per l’estrazione e da una morcellazione del tessuto la cui procedura deve avvenire all’interno del contenitore operando con estrema cautela e destrezza in modo di confidare in un sistema chiuso. Si deve invece constatare che anche questo apporto, che in qualche modo avrebbe potuto minimizzare il rischio di disseminazione, se non addirittura evitarla, non è stato usato nel caso della sig.ra Marcigliano, trascurando le raccomandazioni della International Society for Gynecologic Endoscopy (ISGE) e quelle ancor più prossime agli accadimenti della European Society of Gynecological Oncology.A questo punto, riassumendo quanto già decritto, sulla base di un ragionamento ex-ante, l’approccio terapeutico più appropriato era quello di provvedere a una isterectomia addominale, da condurre con tecnica di isterectomia totale en-bloc con salpingo-ooforectomia bilaterale, tenendo anche presente che si trattò di una Persona, in buone condizioni generali senza significative comorbidità con ridotta probabilità di complicanze post-operatorie pur considerando il maggior impegno operatorio per l’isterectomia addominale. L’intervento invece fu condotto con tecnica mininvasiva laparoscopica estraendo i tessuti rimossi per via vaginale dopo una morcellazione senza alcuna protezione del tipo endo-bag per minimizzar il rischio di disseminazione, il tutto in dissonanza alla buona pratica clinica e alle raccomandazioni delle linee guida.

Nel caso in esame, stante quanto sopra detto, per i motivi precedentemente elencati, la scelta della tecnica chirurgica eseguita, oltre ad essere stata incongrua è stata essa stessa causativa della disseminazione delle cellule tumorali con progressione di stadio del sarcoma uterino che correttamente asportato sarebbe stato limitato allo stadio I. Si aggiunga a questo un appunto relativo alla tenuta della documentazione e trasparenza della diagnosi. Al momento della consegna dell’esame istologico, viene riportata la dicitura “sarcoma uterino stadio I” omettendo volutamente due dati fondamentali: il primo è che l’utero era stato morcellato (spezzettato) durante l’asportazione, e il secondo che la morcellatura era avvenuta proprio in corrispondenza della lesione maligna. Sarebbe sì stato un sarcoma di stadio I se solo fosse stato rimosso in maniera corretta. Una volta provocata l’apertura iatrogena dell’utero in corrispondenza della lesione non si poteva più parlare di primo stadio, ed infatti, senza correttamente informare la paziente i sanitari hanno consigliato la chemioterapia, ben cosci del rischio e della incongruità comportamentale associata all’intervento.

 

3.    Iter successivo all'intervento chirurgico

Circa l'esame istologico due sono state le incongruità comportamentali: la mancata esecuzione di diagnosi estemporanea intraoperatoria (auspicabile ex ante data la mancata diagnosi isteroscopica e la natura sospetta della massa) e l'abnorme tempo di refertazione del pezzo operatorio.

L'esame estemporaneo avrebbe sicuramente portato ad una maggiore radicalità dell'intervento e avrebbe accelerato il tempo di risposta dell'esame istologico che dal canto suo, ha avuto un tempo di refertazione incongruamente abnorme.

L’aspetto macroscopico dell’utero lacerato proprio in sede tumorale dalla morcellazione, avrebbe dovuto imporre una priorità nell’esame istologico per cercare di emendare il danno ormai provocato, con un più celere accesso alla chemioterapia adiuvante (che in assenza di errore probabilmente non sarebbe stata necessaria).

Il tempo medio per la risposta istologica di un pezzo operatorio risulta di circa 20 giorni, se si sospetta una neoplasia tale tempo deve essere ridotto a 7-14 giorni. Vero che la patologia sarcomatosa deve essere riletta da un centro di riferimento come è stato il centro tumori di Milano, tuttavia tutta la procedura doveva essere eseguita in tempi rapidi.  In questo caso la risposta è stata di circa 2 mesi, determinando un colposo ritardo nella presa in carico presso l'oncologia, con l'aggravante della modalità di asportazione dell'utero e della incisione dello stesso proprio in corrispondenza della lesione sarcomatosa.

Come infatti ha riportato nella sua relazione il collega oncologo: “esecuzione dell’esame istologico estemporaneo ha ritardato di quasi due mesi la diagnosi di neoplasia maligna (6 settembre intervento, 31 ottobre consegna dell’esame istologico) procrastinando quindi la presa in carico della paziente da parte della Oncologia Clinica.

 

4.    Valutazione del nesso di causa con l'exitus

 

Le incongruità sopra riportate (scorretto intervento chirurgico, morcellazione con disseminazione iatrogena delle cellule sarcomatose, ritardo nella refertazione e nella presa in carico da parte della oncologia) hanno determinato una deviazione dal corretto iter clinico che ha determinato sicuramente una ridotta durata della vita della sig.ra Marcigliano rispetto ad un trattamento corretto. È indubbio che l’anticipato decesso della paziente è imputabile ai molteplici aspetti omissivi e commissivi della condotta incongrua sopra riportata.

Il trattamento offerto, infatti, non è stato solo di tipo omissivo, come spesso accade nelle patologie tumorali, in termini di omessa diagnosi al momento della isteroscopia e di ritardata diagnosi in sede istologica, ma è stato commissivo nei termini di disseminazione iatrogena delle cellule tumorali, cambiando nettamente la storia naturale della patologia. In caso di iter clinico corretto, le possibilità di sopravvivenza della sig.ra Marcigliano erano superiori al 75%, mentre a seguito delle predette incongruità comportamentali si sono concretizzate nello 0% a 5 anni. Non è solo la durata della vita che è stata ingiustamente ridotta dalle predette incongruità, ma la qualità della stessa è stata pesantemente influenzata dalla incongrua gestione. In primo luogo, la chemioterapia è stata necessaria per l'avvenuta morcellazione dell'utero e per ridurre il rischio di recidiva locale da disseminazione neoplastica nella pelvi, rischio che si è puntualmente concretizzato dopo soli 20 mesi. Inoltre, la chemioterapia è stata tardiva e una volta che i sanitari si erano resi conto che la patologia della Marcigliano era costituita da un sarcoma morcellato (al primo esame istologico al massimo ai primi di ottobre) avrebbero dovuto proporre un tempestivo lavaggio antitumorale o la HIPEC per ridurre il rischio di recidiva a breve termine, anche se questo avrebbe dovuto implicare l’ammissione dell’errore.  Come afferma il consulente oncologo:

Circa la modalità di trattamento messa in atto occorre precisare che la strategia adiuvante chemioterapica non rappresenta un’opzione standard. I dati che si hanno a disposizione di tipo prospettico (condotti, tra l’altro, con farmaci diversi da quelli impiegati nel presente caso) si sono conclusi prematuramente per futilità del reclutamento (solo 38 pazienti reclutati a fronte dei 216 previsti). Anche tenendo presente una revisione sistematica della letteratura e metanalisi condotte presso l’Ist. Nazionale Tumori di Milano, si rileva un incerto significato del trattamento chemioterapico adiuvante nei sarcomi uterini in stadio iniziale (casistica 360 pazienti). Nello stesso studio si è inoltre accertato che non vi è alcuna differenza statisticamente significativa se alla chemioterapia viene associata o meno la radioterapia.


La chemioterapia è prescritta con maggior convinzione nei casi ad alto rischio (in cui rientrò la Paziente) ma essa, comunque, non può sostituire le inadempienze derivate dall’approccio primario chirurgico. Sempre a proposito della chemioterapia va inoltre fatto notare che essa fu iniziata dopo un intervallo dalla chirurgia primaria di tre mesi, senza motivazioni legate a complicanze di tipo chirurgico; si tratta di una latenza che dal punto di vista oncologico è da ritenersi non funzionale a un approccio di tipo adiuvante/precauzionale. Come sappiamo la malattia, da ritenersi disseminata a livello microscopico in seguito alla chirurgia, si ripresentò clinicamente dopo un apparente intervallo libero di venti mesi. Da allora, nonostante plurimi tentativi di controllare la malattia, come purtroppo atteso, oltre a non dar requie alcuno alla sig.ra Marcigliano e ai familiari che l’assistevano in questo doloroso percorso, non fu osservato un sostanziale beneficio clinico. Trascorsi complessivamente 34 mesi dalla chirurgia la Paziente soccombette alla sua malattia sopportando una notevole sofferenza fisica per la comparsa di una sindrome iperalgica di difficile controllo e una, non da meno, afflizione morale allorché si rese conto che la malattia, sfuggita a ogni controllo, avrebbe potuto essere curata con buone probabilità di successo se fosse stata attuata una procedura più consona allo stato dell’arte erroneamente dato per scontato nel momento in cui si è affidò a un’Istituzione sede Universitaria. La recidiva di malattia avvenne nello scavo pelvico sottoforma di una neoformazione a profili lobulati con componente prevalentemente fluida, con gettoni solidi nel suo contesto, di 11x12x12 cm., a testimoniare una correlazione con la disseminazione loco-regionale secondaria alla morcellazione, piuttosto che per diffusione per via ematogena che caratterizza invece la metastatizzazione a distanza, nei casi di sarcomi.

Occorre innanzitutto precisare che il sarcoma uterino anche se intercettato in stadio inziale (stadio I-II, vale a dire ancora confinato nella pelvi) rappresenta una neoplasia molto aggressiva con sopravvivenza cumulativa a 5 anni del 75% allo stadio I e 60% allo stadio II, la sopravvivenza crolla sotto il 50% negli stadi avanzati, III e IV stadio, collocandosi, rispettivamente al 45% e 15-29%. In questo scenario di gravità prognostica generale, la morcellazione rappresenta un fattore prognostico peggiorativo altamente significativo, indipendente dagli altri fattori prognostici. È importante a questo proposito far riferimento a uno studio multicentrico, italiano, coordinato presso l’Ist. Nazionale Tumori-Milano, riferito a 4000 interventi di isterectomia per fibroma in cui sono stati rilevati, inattesi, 125 pazienti (3,1%) con sarcoma uterino allo stadio I (analogamente al caso di specie) 52 di essi furono sottoposti a morcellazione e no. Ebbene, la procedura di morcellazione si è dimostrata l’unico fattore prognostico, indipendente da altri indicatori prognostici. Infatti, il Rischio Relativo, HR, (Hazard Ratio, NdR) è risultato pari a 2.65 intervallo di confidenza (1.06, 6.59) all’analisi univariata e di 2,52 all’analisi multivariata (intervallo di confidenza 1,01-6,29) con differenza tra morcellazione e non morcellazione altamente significativa (P= 0,03 e P= 0,04). In altri termini alla procedura di morcellazione è associato un rischio 2,5 volte maggiore di mortalità entro due anni, rispetto al non eseguirla nel corso della isterectomia. ...Rifacendosi a studi nella casistica internazionale, non solo italiana, è senz’altro interessante far riferimento alla metanalisi prodotta dalla AHRQ (Agency for Healthcare Research and Quality) Agenzia Statunitense RocKwille, Mariland che ha valutato 24 studi per un totale di 384 donne con leiomiosarcoma al tempo della chirurgia inziale creduta non complicata da sarcoma uterino ma solo da fibroma. Questi casi si prestano a valutare l’impatto della morcellazione, rispetto alla procedura di isterectomia senza morcellazione. Ebbene anche in questo caso è stato verificato che la sopravvivenza a 5 anni nei casi in cui fu messa in atto la morcellazione è pari al 30% contro il 60% delle donne nella quali non viene eseguita la morcellazione. Un recentissimo studio ha valutato l’outcome delle pazienti con leiomiosarcoma in I stadio, quello che con altissima probabilità fu riscontrato nella Paziente, stratificando la casistica (107 pazienti di età media 55 anni) in soggetti in cui l’isterectomia è condotta con frammentazione (morcellazione) oppure con utero intatto. Come può essere osservato nella curva di sopravvivenza globale di seguito rappresentata, in caso di morcellazione la mediana di sopravvivenza fu di 47.8 mesi (95%CI 28.5–129.6) versus 82.1 mesi (95%CI 52.4-122) nel secondo caso (isterectomia senza morcellazione). In conclusione è evidente, nell’analisi del caso che riguardò la sig.ra Marcigliano, come la scelta improvvida di eseguire una isterectomia per via laparoscopica, con morcellazione e senza alcuna misura atta a minimizzare il rischio di disseminazione neoplastica, abbia determinato un esito infausto nella storia naturale della sua malattia determinando il passaggio da un esito favorevole in termini di “più̀ probabile che non” a uno decisamente sfavorevole.


Valutazione del danno

Il trattamento incongruo ampiamente descritto e documentato con dovizia di letteratura dagli specialisti oncologo e ginecologo, ha causalmente determinato una apprezzabile riduzione della durata della vita della sig.ra Marcigliano che avrebbe potuto avere una possibilità ben oltre al 75% di sopravvivenza oltre i 5 anni. In aggiunta la qualità della vita è stata nettamente peggiorata dalla necessità di un ricorso alla chemioterapia (causato dalla morcellazione) che peraltro è stata tardiva (dopo oltre 3 mesi dall'intervento) a causa di una tardiva risposta istologica. Se avesse avuto la corretta diagnosi e il corretto trattamento dovuto, è altamente probabile  (ben oltre il 50%) che avrebbe avuto molti anni liberi da malattia, in quanto gli esiti chirurgici dell’intervento correttamente eseguito non avrebbero comportato particolari invalidità quaod vitam et valetitudinem, (cicatrice ombelico pubica, isteroannessiectomia – utero e ovaie sono organi non essenziali, soprattutto in menopausa), inoltre non si sarebbe sottoposta a mesi di sofferenze causate da cure chirurgiche e chemioterapiche. Si aggiunga, anche, che la sig.ra Marcigliano al momento della diagnosi aveva 53 anni, si trovava in un ottimo stato di salute e non presentava comorbidità che avrebbero potuto influenzare negativamente la sua possibilità di guarigione dalla neoplasia se fosse stata correttamente trattata allo stadio I come si doveva, infatti l’asportazione in toto dell'utero con la lesione sarcomatosa al suo interno, ancora capsulata e con perimetrio integro, avrebbe comportato un basso rischio di recidiva locale e metastatica.

Oltre al danno morte, è necessario considerare anche l’inabilità temporanea conseguita a tale comportamento incongruo, essa è computabile in un totale di 31 mesi (959 giorni) escludendo l’inabilità postoperatoria che si sarebbe comunque verificata a seguito di un corretto intervento. Si computa Inabilità temporanea parziale al 75% dal 04/12/2018 al 22/02/2019, per un totale di 80 giorni periodo nel quale si è sottoposta ai cicli di chemioterapia, caratterizzata di alopecia, nausea e vomito estrema astenia,  segue un successivo periodo di relativa stabilità clinica di circa 14 mesi (437 giorni) con una ITP al 35% fino al 04/05/2020 quando si sottoponeva agli accertamenti che evidenziavano la ripresa della malattia e riprendeva i cicli di chemioterapia, con gravissimi effetti collaterali, oltre ad episodi sincopali marcati che giustificano il riconoscimento di una ITP al 85% di 135 giorni fino al 16/09/2020. Iniziava, poi, un periodo di inabilità assoluta dall’intervento demolitivo del 16/09/2020 all’exitus del 20/07/2021 per un totale di 307 giorni nei quali le condizioni sono state persistentemente scadenti, tra marcate sofferenze fisiche e psichiche, che totalizzavano interamente la vita della sig.ra Marcigliano. Si tenga conto nella valutazione, anche della componente del danno catastrofale, (danno terminale) stante la consapevolezza via via più consistente di non avere più possibilità di sopravvivenza e del sopraggiungere del decesso, pensieri che si sono fatte più consistenti dopo il maggio 2020 alla comparsa di recidiva di malattia.

Il marito ha vissuto con lei ogni singolo momento del predetto iter clinico, occupandosi con somma dedizione a tutte le necessità materiali e morali della consorte, pertanto anche lui merita un giusto risarcimento sia per la prematura perdita parentale, sia per il doloroso calvario che ha dovuto attraversare. Il sig. Fornasari è stato una persona molto attiva e impegnata nel sociale, ricco di risorse professionali e umane e, pur non essendo ricorso a figure specialistiche di supporto psicologico, ha subito uno stravolgimento della propria vita stante lo stretto rapporto con la di lui consorte con la quale condivideva una vita trascorsa insieme, stessi interessi e impegno sociale e umanitario.

Milano, 27/03/2023

Chiara Riviello


 
 

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