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2023.05.10 Ricorso civile per accertamento tecnico preventivo

  • mariofornasari
  • 15 gen 2024
  • Tempo di lettura: 49 min

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TRIBUNALE CIVILE DI FERRARA

RICORSO EX ART. 696-BIS C.P.C.

Il Sig. Mario Fornasari (...), residente in Ferrara, Via (...) in proprio e quale erede della Sig.ra Elisabetta Marcigliano, nata a Ferrara il 25/7/1965 e ivi deceduta il 20/7/2021 (doc. 1), rappresentato e difeso, nel presente procedimento, dal Prof. Avv. Carlo Berti (...) e dall’Avv. Giulia Caruso (...) ed elettivamente domiciliato presso il primo, nel suo Studio in Bologna,(...) giusta procura speciale in calce al presente atto, i quali dichiarano di voler ricevere a mezzo telefax, nel rispetto della normativa, anche regolamentare, concernente la sottoscrizione, la trasmissione e la ricezione dei documenti teletrasmessi, gli avvisi relativi ai provvedimenti che l’Ill.mo Tribunale adito emanerà, indicando quali numeri di fax lo (...) e lo (...) e quali indirizzo PEC (...)

- ricorrente -


nei confronti di

Azienda Ospedaliera di Ferrara

- resistente -


espone quanto segue in

Fatto

 

Premessa

Il presente procedimento trae origine da una drammatica vicenda umana che vede come protagonista la Signora Elisabetta Marcigliano, deceduta all’età di 56 anni, dopo un lungo calvario, a seguito di un intervento di morcellazione uterina del tutto temerario, eseguito senza il consenso informato della paziente e disattendendo completamente le indispensabili norme di prudenza e perizia; un intervento rivelatosi talmente dannoso da costringere la Signora Marcigliano a trascorrere l’ultimo periodo della propria esistenza in uno stato di insostenibile agonia e da causarle una morte anticipata[1].

Alla paziente, ricoverata nell’agosto 2018 per dolori addominali, fu diagnosticata una voluminosa formazione uterina di natura indefinita e sospetta; tuttavia, non furono effettuati gli esami che avrebbero potuto confermare la natura maligna della formazione.

Non solo. Senza tener conto dell’alta probabilità che la stessa contenesse cellule maligne, la massa venne morcellata, cioè frammentata all’interno del corpo, in evidente contrasto con le linee guida e con le raccomandazioni delle istituzioni mediche internazionali.

Solo a seguito dell’intervento e delle sue terribili conseguenze, si apprese che la formazione era in realtà un sarcoma, le cui cellule maligne, altamente aggressive, vennero sciaguratamente disseminate nell’organismo della paziente causandole un peggioramento repentino ed irreversibile. Infatti, prima dell’intervento, l’utero era sano, il sarcoma era allo stadio I, ma progredì repentinamente allo stadio IV, proprio per effetto della morcellazione, costringendo la paziente ad atroci sofferenze fino alla morte.

Ma procediamo con ordine.

A.   Accadimenti in fatto


1.        

In data 15.8.2018, la Sig.ra Elisabetta Marcigliano faceva ingresso presso il Servizio di Ginecologia d’Urgenza dell’Azienda Ospedaliero Universitaria di Ferrara lamentando la persistenza, da almeno due giorni, di dolori addomino-pelvici resistenti ai comuni analgesici (doc. 2).


2.        

Nelle ore successive, la paziente veniva sottoposta a esami e accertamenti, tra cui visita ginecologica, che rivelava un “utero di dimensioni aumentate, consistenza fibrosa, con fondo uterino che giunge 3 dita dalla linea ombelicale traversa poco mobile, dolente. Non si apprezzano gli annessi” e una ecografia trans-vaginale (office) che confermava l’aumento di volume dell’utero e consentiva di visualizzare una “formazione iperecogena a margini regolari con alcune lacune anecogene di 54x52 mm che sembra occupare interamente la cavità uterina, non si visualizza la rima endometriale. Annessi non visualizzabili” (pagg. 51-53 doc. 2).


3.        

La paziente veniva così ricoverata d'urgenza con diagnosi di “algie addominali, neoformazione endouterina di ndd <natura da determinarsi> in menopausa”, per essere sottoposta ad ulteriori indagini specialistiche di diversa natura (pagg. 51-53 doc. 2).

In particolare, la TAC toracica e addominale rilevava: “modesto aumento volumetrico dell’utero; in sede endouterina si conferma la presenza di formazione ovoidale (50 x 88 x58 mm) a limiti netti, a densitometria disomogenea, caratterizzata da piccole areole ipodense periferiche con valori densitometrici assimilabili al tessuto adiposo” (pag. 17 doc. 2).


4.        

Il giorno successivo, la Signora Marcigliano, con indicazione “leiomioma intramurale dell’utero, neoformazione endouterina di natura da determinarsi, algie addominali”, veniva sottoposta a una isteroscopia diagnostico‑operativa in anestesia generale, nel corso della quale la parete uterina anteriore veniva descritta come “improntata da verosimile formazione leiomiomatosa intramurale”. polipo di 1.5 cm che si asporta mediante strumenti meccanici e che si invia per esame istologico” Nel medesimo referto si specifica: “Biopsia endometriale: no; Curretage: no; Pap-test: no; no citologia endocervice; no citologia endometriale (pagg. 11 e 12 doc. 2).

Ebbene, nonostante l’esame in questione fosse stato programmato come “isteroscopia diagnostica + biopsia endometriale”, inspiegabilmente la riscontrata neoformazione non veniva sottoposta a biopsia; accertamento diagnostico che, laddove preliminarmente eseguito, avrebbe certamente consentito di effettuare una diagnosi tempestiva e di intraprendere i più opportuni trattamenti terapeutici, evitando di sottoporre la paziente a un intervento di morcellazione uterina tanto rischioso quanto fatale, che, oltre a privare la Signora Marcigliano di ogni possibilità di guarigione, la esponeva ad indicibili sofferenze sino alla morte.


5.        

Nella stessa giornata, veniva eseguita anche un’ecografia transvaginale di secondo livello, che confermava la “presenza di formazione tondeggiante solida ad ecostruttura disomogenea, di mm 56x46x55, non vascolarizzata, a carico della parete uterina anteriore. Tale formazione altera la morfologia e disloca la cavità endometriale, rendendo la rima endometriale mal visualizzabile. Nei tratti esplorati endometrio sottile. Margine libero miometriale della parete anteriore 3 mm …” (pag. 16 doc. 2).

Gli esami ematochimici effettuati evidenziavano inoltre una concentrazione elevata della PCR e gli indici bioumorali epatici oltre i limiti della norma.


6.        

In data 17.8.2018, la Sig.ra Marcigliano veniva dimessa, con diagnosi di “neoformazione pelvica di ndd” e inserita in lista di attesa per un intervento di isterectomia, con classe di priorità “A” e cioè urgente, come desumile dalla Scheda di dimissione ospedaliera completata ad esito del ricovero per il predetto intervento (pag. 38 doc. 3).


7.        

Il successivo 5.9.2018, la Sig.ra Marcigliano veniva nuovamente ricoverata presso la Clinica Ostetrica e Ginecologica dell’Università di Ferrara, per dar corso al pianificato intervento di isterectomia (doc 3).

Nel modulo di acquisizione del consenso informato sottoposto alla firma della paziente, venivano prospettati i vantaggi della tecnica chirurgica laparoscopica[2].


8.        

In data 6.9.2018, anziché procedere con l’esame della neoformazione, come la prudenza, prima ancora che la scienza medica, avrebbe imposto, i sanitari, del tutto inopinatamente, sceglievano di eseguire direttamente intervento di isterectomia, adottando peraltro la sciagurata tecnica della c.d. morcellazione[3]. Intervento, questo, che, come evidenziato nelle relazioni medico-legali allegate (cfr. docc. 7, 8 e 9) in base anche alle raccomandazioni mediche del tempo:

-    risultava essere ad altissimo rischio: si anticipa, infatti, sin da ora che, come meglio si evidenzierà nel prosieguo, la procedura di isterectomia laparoscopica con morcellazione, cui è stata sottoposta la Sig.ra Marcigliano, comporta il gravissimo rischio intrinseco, purtroppo concretizzatosi nel caso di specie, di disseminazione intraddominale delle cellule cancerogene di un tumore maligno che sia stato erroneamente ritenuto, in fase preoperatoria, quale innocuo leiomiofibroma. E una tale eventualità può avere -e, purtroppo, ha avuto, nel caso di specie- conseguenze drammatiche, comportando una precoce e aggressiva progressione della malattia, altrimenti evitabile. È noto, infatti, che, in ambito oncologico, la recidiva di malattia condiziona pesantemente la prognosi, sicché è essenziale scongiurare, ove sussistano fattori di rischio che facciano anche solo sospettare una natura maligna della formazione da asportare, un tale rischio;

-    veniva eseguito senza che la paziente fosse stata adeguatamente informata circa l’esistenza di tecniche operatorie alternative, i molteplici rischi connessi allo stesso e le possibili, gravissime complicanze. Non fu infatti reso noto alla paziente che la riscontrata neoformazione, già descritta come “di natura da determinarsi” (“ndd”), si sarebbe potuta rivelare maligna, che l’intervento si sarebbe svolto secondo la rischiosa tecnica della c.d. morcellazione dell'utero, né, tantomeno, i noti rischi correlati all’adozione di tale tecnica procedurale per il caso in cui la neoformazione si fosse rivelata maligna, e neppure gli opposti vantaggi che, in una siffatta ipotesi, avrebbe avuto l’alternativa chirurgica consistente nella laparotomia classica;

-    si rivelava non solo inutile sotto il profilo terapeutico e prognostico, ma addirittura gravemente dannoso, essendo stato eseguito con grave negligenza, imprudenza e imperizia.

E infatti, a seguito di tale temeraria operazione chirurgica, si determinava un irreversibile e inesorabile peggioramento delle condizioni cliniche della paziente.


9.        

La sig.ra Marcigliano veniva dimessa in data 8.9.2018 con appuntamento per il successivo 4.10.2018 per il ritiro dei risultati dell’esame istologico sul materiale asportato in sede operatoria.

Tuttavia, dopo la scomparsa della paziente, il Sig. Mario Fornasari, leggendo la cartella clinica, si rendeva conto che:

-       la scheda di dimissione ivi contenuta indicava, quale “diagnosi in dimissione”: “tumori maligni del corpo dell'utero, eccetto l'istmo” e, quindi, che,

-       pur non essendo ancora pervenuti gli esiti dei prelievi istologici effettuati nel corso dell’intervento, i medici dell’AUSL di Ferrara erano già a conoscenza, all’atto delle dimissioni della paziente, che l’eseguita morcellazione aveva coinvolto un tumore uterino maligno, con conseguente disseminazione di cellule cancerogene a livello intraddominale.

I sanitari omettevano, tuttavia, con la lettera di dimissioni di rendere edotta la paziente ed il suo medico di tale gravissima circostanza, così privando la Sig.ra Marcigliano non solo della indispensabile conoscenza della propria reale situazione patologica, ma anche delle possibilità di ricercare con tempestività soluzioni salva vita.


10.     

Solo in data 31.10.2018, ossia dopo quasi due mesi dall'intervento, venivano consegnati alla paziente gli esiti dell’esame istologico sul materiale asportato nel corso dello stesso (confermato dall’Anatomia Patologica dell’Istituto Europeo di Oncologia di Milano), che consentivano finalmente di formulare la diagnosi di “sarcoma uterino 1 stadio” (pag. 18 doc. 4)[4].

Il referto dell’esame istologico riportava le seguenti informazioni:

-        “corpo uterino pervenuto marcatamente lacerato … nello stesso contenitore, ma a parte, si reperta collo cervicale non orientabile … pervengono inoltre alcuni frammenti tissutali grigio-giallastri” (pag. 36 doc. 3);

-       “all’apertura la cavità uterina è completamente occupata da formazione grigia-giallastra di aspetto plurinodulare di cm 4 x2,3 solida con aree di aspetto gelatinoso” (pag. 36 doc. 3);

-       “tumore mesenchimale dell’utero di non univoca interpretazione, costituito da noduli di sarcoma a cellule rotonde, del diametro maggiore di circa 1 cm, con atipia medio grado, attività mitotica nell’area più̀ cellulata (5 mm di diametro) pari a 15 mitosi per 10 HPF su 40 campi ed attività proliferativa (Ki-67) pari al 25-30%nelle aree più cellulate, con focale componente intravascolare, associato a lipoleiomioma atipico dissecante alla periferia i fasci miometrali. Cervice, endometrio inattivo e annessi esenti da neoplasia” (pagg. 34-36 doc. 3).


11.     

In quell’occasione, veniva consigliato alla Signora Marcigliano di sottoporsi a una TAC di ristadiazione a un trattamento chemioterapico con finalità adiuvante (pag. 18 doc. 4).

La somministrazione del trattamento chemioterapico veniva avviata il 4.12.2018 e terminava il 22.2.2019, sempre presso l'Arcispedale Sant'Anna (doc. 4).


12.     

Tuttavia, terminati i cicli di chemioterapia, si riscontrava, con TAC del 4/5/2020, un repentino peggioramento delle condizioni cliniche della paziente, cui veniva diagnosticata una “ripresa pelvica di malattia con neoformazione di 21x19x8 cm non dissociabile dal moncone vaginale: impronta vescica, lambisce colon, con compressione della vena cava inferiore” (pag. 110, doc. 4: Consulenza Istituto di Candiolo 1.6.2020).


13.     

In data 15.9.2020, dopo ulteriori cicli di chemioterapia senza esito favorevole e dopo estenuanti ricerche di alternative terapeutiche, per l'aggravarsi della malattia[5], la paziente veniva sottoposta a intervento di “escissione di K recidiva pelvica” presso l'Azienda Ospedaliera Universitaria Federico II di Napoli.

Si trattava di un intervento di chirurgia R2 (residuo macroscopico di malattia), il cui esito confermava una “recidiva da leiomiosarcoma” connotato da un alto grado di replicazione, ossia con un “indice di proliferazione cellulare, valutato con Ki67, pari a circa l'80%” (pag. 166 doc. 4: Referto istologico del 16.9.2020).


14.     

In seguito, nonostante altri cicli di chemioterapia e altre cure rivelatesi palliative, la situazione clinica della Sig.ra Marcigliano continuava progressivamente e rapidamente ad aggravarsi tanto da rendere nel frattempo necessaria anche l’attivazione di un’assistenza domiciliare.

All’esito della TAC di rivalutazione eseguita in data 24.2.2021, risultava una evidente progressione addominale e probabilmente toracica della malattia (pagg. 207-208 doc. 4). Alla TAC Total-body di rivalutazione eseguita in data 19.5.2021, si evidenziava un marcato incremento volumetrico e numerico degli impianti metastatici a carico dell’addome, che impegnavano l’intero scavo pelvico, con compressione a carico della vescica (pag. 12 doc. 5).


15.     

Nel disperato tentativo di ricercare soluzioni salvavita, venivano richieste, dal ricorrente e dalla propria moglie, ulteriori consulenze; in particolare, il campione istologico prelevato a seguito dell’intervento eseguito a Napoli veniva trasmesso in Germania, presso la FoundationOne Heme, per essere sottoposto a sequenziamento genetico, al fine di ottenere informazioni diagnostiche, prognostiche e -ove possibile- terapeutiche (doc. 10). Tuttavia, il test genetico evidenziò, purtroppo, che non era a quel punto percorribile “nessuna terapia o sperimentazione clinica (no therapies or clinical trials)”.


16.     

Tuttavia, la gestione clinica di supporto della paziente si rivelava progressivamente sempre più gravosa, anche per la concomitanza di sintomatologia dolorosa che rendeva necessaria la somministrazione di oppioidi in infusione continua e di interventi di personale di assistenza infermieristica qualificata.

Infatti, la signora Marcigliano, ormai costretta a convivere con atroci sofferenze fisiche e psichiche, aggravate dalla lucida consapevolezza di dover a breve abbandonare definitivamente tutti gli affetti più cari (c.d. lucidità agonica), veniva sottoposta presso la sua abitazione e presso l’Hospice della Fondazione ADO di Ferrara, con il supporto del marito sempre presente, a terapie del dolore e assistenza psicologica (docc. 4-5).

Il quadro clinico della Sig.ra Marcigliano peggiorava via via sempre più, sino al decesso, avvenuto in data 20.7.2021.

B.    Le consulenze tecniche specialistiche e medicolegali.

Sulla base di quanto premesso in fatto, l’operato dei sanitari in forza presso l’Azienda Ospedaliero-Universitaria di Ferrara - Arcispedale Sant’Anna ha imposto un approfondimento dal punto di vista specialistico e medico-legale, svolto dal Dr. Giorgio Scagliarini, specialista in Ostetricia e Ginecologia (doc. 7), dal Dr. Luciano Isa, Medico Chirurgo Specialista in Oncologia Medica, Medicina Interna, Ematologia Clinica e di Laboratorio (doc. 8) e dalla Dott.ssa Chiara Riviello, Medico Chirurgo Specialista in Ginecologia e Ostetricia e Medicina Legale (doc. 9), i quali, all’esito di un’accurata disamina della documentazione sanitaria relativa alla vicenda de qua, hanno individuato molteplici profili di criticità e conseguente responsabilità in capo alla struttura convenuta, rilevando la sussistenza del nesso causale tra l’operato dei sanitari e la morte della paziente. In particolare, è stato affermato quanto segue:

-       “è evidente che i sanitari avevano la possibilità di diagnosticare la patologia tumorale di cui la Marcigliano era affetta o quanto meno avevano a disposizione svariati indizi che facevano sospettare una natura non benigna della lesione” (pag. 11 Consulenza Dott.ssa Riviello);

-        “il provvedimento chirurgico cardine, l’isterectomia addominale con annessiectomia, da provvedervi per via laparotomica classica, riduce al minimo le possibilità di dispersione e impianto delle cellule tumorali nella cavità addominale. Di converso la tecnica laparoscopica associata alla morcellazione determina in termini di “più probabile che non” la recidiva intra-addominale della malattia. Una volta che detta ripresa di malattia si sia manifestata, data la scarsità della possibilità di controllarne la sua evoluzione con i mezzi terapeutici disponibili, essa è invariabilmente foriera di esito infausto come è stato dimostrato da una consistente revisione sistematica della letteratura e metanalisi” (pagg. 15-16 relazione Dott. Isa);

-       “non si comprende per quale motivo i sanitari non abbiano proceduto alla biopsia della massa in corso di isteroscopia, occasione importante e obbligatoria per valutare l'istologia e la natura della stessa. Se così fosse stato fatto, l'iter chirurgico sarebbe stato sicuramente condotto con diverso accesso, per via addominale con rimozione in blocco isteroannessiectomia bilaterale e probabilmente non sarebbe stato necessario alcun trattamento adiuvante (…) infatti, l’utero prima dell’asportazione era intatto, non vi era infiltrazione neoplastica del perimetrio da parte della neoplasia, pertanto il rischio di recidiva o disseminazione metastatica, se asportato in toto, sarebbe stato minimo” (pag. 11 Consulenza Dott.ssa Riviello);

-       “sulla base di un ragionamento ex-ante, l’approccio terapeutico più appropriato era quello di provvedere a una isterectomia addominale, da condurre con tecnica di isterectomia totale en-bloc” (pagg. 15-16 relazione Dott. Isa);


-       “i fattori di rischio presenti nella Paziente, posti sotto l’occhio dei Curanti, rendevano necessaria una diagnostica differenziale che anche se non fu risolta in forza di un work-up preoperatorio, orientavano decisamente a considerare la malattia non interpretabile come un semplice caso di miofibroma e, pertanto, doveva essere prudenzialmente adottata una condotta ben diversa da quella messa in atto di isterectomia con morcellazione. La procedura attesa in queste condizioni avrebbe dovuto essere quella di una attenta isterectomia addominale con rimozione “en-bloc” dell’utero” (pag. 24 relazione Dott. Isa);

-       “Circa l'esame istologico due sono state le incongruità comportamentali: la mancata esecuzione di diagnosi estemporanea intraoperatoria (auspicabile ex ante data la mancata diagnosi isteroscopica e la natura sospetta della massa) e l'abnorme tempo di refertazione del pezzo operatorio. L'esame estemporaneo avrebbe sicuramente portato ad una maggiore radicalità dell'intervento e avrebbe accelerato il tempo di risposta dell'esame istologico che dal canto suo, ha avuto un tempo di refertazione incongruamente abnorme(cfr. Relazione Dott.ssa Riviello, pag. 17).

Sulla base di tali rilievi, i Consulenti  accertavano la temerarietà dell’intervento chirurgico eseguito, evidenziando che:

-       “l'intervento chirurgico eseguito sulla sig.ra Marcigliano è stato incongruo, contrario alle linee guida, con metodologia della quale la paziente non era stata edotta e causa esso stesso della progressione di stadio del sarcoma” (pagg. 11-12 Consulenza Dott.ssa Riviello);

-       “L’intervento invece fu condotto con tecnica mininvasiva laparoscopica estraendo i tessuti rimossi per via vaginale dopo una morcellazione senza alcuna protezione del tipo endo-bag per minimizzar il rischio di disseminazione, il tutto in dissonanza alla buona pratica clinica e alle raccomandazioni delle linee guida. Quello che si paventò come rischio, per l’improvvida condotta messa in atto, immancabilmente accadde a danno della sig.ra Marcigliano” (pag. 16 relazione Dott. Isa);

-       Il trattamento offerto, infatti, non è stato solo di tipo omissivo, come spesso accade nelle patologie tumorali, in termini di omessa diagnosi al momento della isteroscopia e di ritardata diagnosi in sede istologica, ma è stato commissivo nei termini di disseminazione iatrogena delle cellule tumorali, cambiando nettamente la storia naturale della patologia” (pag. 16 Consulenza Dott.ssa Riviello);

e concludevano rilevando la sussistenza del nesso causale tra l’operato dei sanitari e la morte della paziente:

-       “È indubbio che l’anticipato decesso della paziente è imputabile ai molteplici aspetti omissivi e commissivi della condotta incongrua sopra riportata” (pag. 16 Consulenza Dott.ssa Riviello);

-       “In conclusione è evidente, nell’analisi del caso che riguardò la sig.ra Marcigliano, come la scelta improvvida di eseguire una isterectomia per via laparoscopica, con morcellazione e senza alcuna misura atta a minimizzare il rischio di disseminazione neoplastica, abbia determinato un esito infausto nella storia naturale della sua malattia determinando il passaggio da un esito favorevole in termini di “più probabile che non” a uno decisamente sfavorevole sottraendo alla paziente consistenti chance di sopravvivenza” (pag. 24 relazione Dott. Isa);

-       “In caso di iter clinico corretto, le possibilità di sopravvivenza della sig.ra Marcigliano erano superiori al 75%, mentre a seguito delle predette incongruità comportamentali si sono concretizzate nello 0% a 5 anni. Non è solo la durata della vita che è stata ingiustamente ridotta dalle predette incongruità, ma la qualità della stessa è stata pesantemente influenzata dalla incongrua gestione(cfr. pagg. 16-17 relazione Dott.ssa Riviello);

-       La recidiva di malattia avvenne nello scavo pelvico … a testimoniare una correlazione con la disseminazione locoregionale secondaria alla morcellazione, piuttosto che per diffusione per via ematogena che caratterizza invece la metastatizzazione a distanza, nei casi di sarcomi” (pag. 20-21 relazione Dott. Isa);

-       Il risultato di questa imprudente gestione del caso clinico si è resa responsabile con altissima probabilità della recidiva di malattia, condizionando l’anticipo del decesso riducendo, significativamente, le chance di sopravvivenza e il protrarsi di gravosa sofferenza fisica e morale per la signora Marcigliano e per coloro, tra i congiunti, che l’hanno assistita nel percorso della malattia recidivata” (pag. 24 relazione Dott. Isa).




C.   Le richieste di risarcimento.


La prematura scomparsa della Sig.ra Marcigliano, avvenuta in circostanze così dolorose e strazianti, ha profondamente sconvolto la vita del Sig. Fornasari, che non solo è stato duramente colpito dal dolore per l’atroce agonia sofferta dalla propria moglie e per la perdita subita, ma soprattutto intimamente turbato dalla consapevolezza delle inescusabili negligenze, imprudenze, omissioni tutte riconducibili, per responsabilità dirette e vicarie, contrattuali ed extracontrattuali, all’Azienda Ospedaliero Universitaria di Ferrara - Arcispedale Sant’Anna, alle cui cure la paziente era stata affidata.

Sulla base delle citate circostanze, l’odierno esponente, in data 13.1.2023, formulava tramite lo scrivente patrocinio una richiesta di risarcimento danni nei confronti dell’Azienda Ospedaliero-Universitaria di Ferrara (cui fa capo il presidio ospedaliero “Arcispedale Sant’Anna” di Ferrara), la quale richiedeva la trasmissione di documentazione reputata necessaria a procedere all’istruttoria del caso (docc. 11 e 12).

Il Sig. Fornasari procedeva tempestivamente a trasmettere la documentazione richiesta (doc. 13).

Rimanevano, tuttavia, prive di riscontro e seguito alcuno le richieste di cui alla diffida inviata mediante PEC in data 13.1.2023 (doc. 11), ulteriore motivo per cui il Sig. Fornasari si vede costretto a instaurare il presente procedimento.

.*.*.*.

Tanto premesso, il Sig. Mario Fornasari, in proprio e quale erede della Sig.ra Elisabetta Marcigliano, come in epigrafe rappresentato, difeso e domiciliato, agisce in questa sede al fine di ottenere l’accertamento delle evidenti e gravi responsabilità ascrivibili all’Azienda Ospedaliero Universitaria di Ferrara in conseguenza dei plurimi errori e delle molteplici omissioni, negligenze, imprudenze e imperizie imputabili ai sanitari in forza presso il Presidio Ospedaliero “Arcispedale Sant’Anna”, come sopra meglio descritti, nonché per l’accertamento e la quantificazione dei danni tutti, patrimoniali e non patrimoniali, iure proprio e iure hereditatis, patiti e patiendi in conseguenza e per effetto di dette condotte, per i seguenti motivi in

Diritto

1.   Le responsabilità dell’Azienda Ospedaliero-Universitaria di Ferrara.

Plurimi appaiono i profili di responsabilità in capo alla Azienda Sanitaria convenuta, in relazione alle condotte, anche omissive, gravemente colpose, poste in essere dei sanitari che hanno avuto in cura la Sig.ra Elisabetta Marcigliano presso l’Arcispedale Sant’Anna di Ferrara, quantomeno sotto i seguenti profili, analiticamente approfonditi dalla Consulenze specialistiche che si producono (docc. 7, 8 e 9), che di seguito si andranno ad approfondire:

1.     omessa diagnosi preoperatoria;

2.     incongruità della tecnica operatoria prescelta e temerarietà dell’intervento chirurgico eseguito;

3.     incongruità e omissioni dell’iter successivo all’intervento chirurgico.

.*.*.*.

1.1.      Violazione di regole cautelari in fase pre-operatoria.

Come meglio evidenziato nelle Consulenze Tecniche allegate (docc. 7, 8 e 9), sin dal momento del ricovero della Sig.ra Marcigliano in data 15.8.2018 presso il nosocomio ferrarese, sussistevano incontrovertibilmente diversi fattori che avrebbero dovuto indurre in uno specialista ginecologo accorto e prudente il forte sospetto clinico per la natura maligna della riscontrata neoformazione uterina.

La Sig.ra Marcigliano, infatti, era paziente in post-menopausa, periodo nel quale gli stimoli ormonali sono assenti, che veniva ricoverata con diagnosi non già di fibroma uterino, bensì di “neoformazione endouterina di natura da determinare in menopausa”: terminologia che delineava, sin dalla diagnosi d’ingresso, il sospetto di neoplasia maligna.

E un tale sospetto risultava anche supportato dagli esiti delle indagini strumentali eseguite (ecografia e TAC), “quali la disomogeneità, la vacuolizzazione e la dislocazione della rima endometriale” (relazione Dott.ssa Riviello, pag. 11).

Tale formazione, peraltro, era stata riscontrata anche in una precedente indagine ecografica del 2015, ma con dimensioni notevolmente inferiori (34x33x37 mm). La massa, quindi, aveva avuto un incremento volumetrico molto consistente pari a 3,4 volte.

La situazione di menopausa, il dolore all’addome e il forte incremento della formazione uterina (evenienza del tutto improbabile per un miofibroma), in assenza, peraltro di una terapia ormonale sostitutiva, doveva, secondo la letteratura scientifica, indurre, nel medico prudente, un forte sospetto clinico di patologia tumorale, o, quantomeno, indurre ad approfondire gli accertamenti sul presunto leiomioma.

D’altro canto, che la situazione clinica della Sig.ra Marcigliano ponesse un sospetto di patologia tumorale maligna trova ulteriore conferma nella programmazione dell’intervento di isterectomia con classe di priorità “A” e cioè con urgenza (pag. 38 doc. 3); classe di priorità che, secondo il Piano Nazionale di Governo delle Liste del Ministero della Salute d’Attesa, è riconosciuta ai casi clinici suscettibili di aggravarsi rapidamente al punto da recare grave pregiudizio alla prognosi, ed è classicamente prevista nella patologia oncologica o nei casi in cui esista un fondato sospetto di patologia oncologica.

Ebbene, nonostante tutti i predetti gravi e convergenti indici di sospetto, i sanitari in forze all’Azienda sanitaria resistente non ritenevano di eseguire una biopsia sulla riscontrata neoformazione, nel corso dell’isteroscopia a cui la Sig.ra Marcigliano veniva sottoposta in data 16.8.2018, successivamente, prima dell’intervento. I sanitari, inoltre, nel corso del primo ricovero, non disposero l’esecuzione di una risonanza magnetica delle pelvi; indagine tra le più affidabili.

Per contro, come chiaramente rilevato nelle Consulenze Tecniche espletate:

-       “di fronte a una neoplasia uterina, secondo lo stato dell’arte, il sospetto della sua malignità deve sorgere ogni qualvolta ci si trovi di fronte a una tumefazione che cresce in post-menopausa in donne che non stanno assumendo terapia sostitutive ormonali; una evenienza del tutto coincidente a quanto stava accadendo alla sig.ra Marcigliano” (relazione Dott. Isa, pag. 16);

-       “esistevano dunque diversi fattori di rischio che avrebbero dovuto, secondo buona pratica clinica, indurre nella mente dello Specialista ginecologo, prudente, un ragionevole dubbio” (relazione Dott. Isa, pag. 16);

-       “dato tale sospetto, non si comprende per quale motivo i sanitari non abbiano proceduto alla biopsia della massa in corso di isteroscopia, occasione importante e obbligatoria per valutare l’istologia e la natura della massa” (relazione Dott.ssa Riviello, pag. 11).

L’esecuzione di una biopsia avrebbe, quindi, consentito, con buon grado di probabilità, di valutare l’istologia e la natura della massa.

Del resto, come osservato dal consulente Dott. Luciano Isa, in mani esperte, come del resto sarebbe dovuto accadere presso un’Istituzione Universitaria quale l’Azienda Ospedaliero-Universitaria di Ferrara, “la capacità diagnostica per un sarcoma uterino giunge al 64%” (relazione Dott. Isa, pag. 14).

E, ove si fosse correttamente proceduto in fase diagnostica, giammai si sarebbe eseguito l’intervento di isterectomia per via laparoscopica, con morcellazione, come purtroppo avvenuto nel caso di specie per grave negligenza, imprudenza e imperizia dei sanitari, tali da causare alla Signora Marcigliano una morte prematura, costringendola a trascorrere l’ultimo periodo della propria esistenza in uno stato di insostenibile agonia.

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1.2.      Violazione di regole cautelari nella scelta e nell’esecuzione dell’intervento di isterectomia laparoscopica con morcellazione. Incongruità della tecnica operatoria prescelta e temerarietà dell’intervento chirurgico eseguito.

Altrettanto gravi appaiono, poi, i profili di responsabilità imputabili alla struttura sanitaria resistente con riferimento al successivo intervento chirurgico di isterectomia cui la Sig.ra Marcigliano veniva sottoposta in data 06.09.2018, in quanto non eseguito correttamente da un punto di vista tecnico e prudenziale.

Infatti, come chiarito nella perizia tecnica a firma del Dott. Isa, la procedura di isterectomia laparoscopica con morcellazione, cui è stata sottoposta la Sig.ra Marcigliano, comporta il gravissimo rischio intrinseco, purtroppo concretizzatosi nel caso di specie, di disseminazione intraddominale delle cellule cancerogene di un tumore maligno che sia stato erroneamente ritenuto, in fase preoperatoria, quale innocuo leiomiofibroma. E una tale eventualità può avere -e, purtroppo, ha avuto, nel caso di specie- conseguenze drammatiche, comportando una precoce e aggressiva progressione della malattia, altrimenti evitabile.

È noto, infatti, che, in ambito oncologico, la recidiva di malattia condiziona pesantemente la prognosi, sicché è essenziale scongiurare, ove possibile, un tale rischio. E, nel caso di tumori uterini, ciò è possibile anzitutto evitando la dispersione delle cellule tumorali all’interno della cavità addominale, ossia optando per l’asportazione della massa con la tecnica laparotomica.

Infatti, “il provvedimento chirurgico cardine, l’isterectomia addominale con annessiectomia, da provvedervi per via laparotomica classica, riduce al minimo le possibilità di dispersione e impianto delle cellule tumorali nella cavità addominale. Di converso la tecnica laparoscopica associata alla morcellazione determina in termini di “più probabile che non” la recidiva intra-addominale della malattia. Una volta che detta ripresa di malattia si sia manifestata, data la scarsità della possibilità di controllarne la sua evoluzione con i mezzi terapeutici disponibili, essa è invariabilmente foriera di esito infausto come è stato dimostrato da una consistente revisione sistematica della letteratura e metanalisi” (pagg. 15-16 relazione Dott. Isa).

Proprio per tali ragioni, la tecnica della morcellazione è da tempo -ed era già all’epoca dei fatti- oggetto di formali richiami da parte delle Autorità regolatorie e delle Società scientifiche di tutto il mondo, che ne scoraggiano l’uso (pagg. 17-20 relazione Dott. Isa).

Infatti, da tempo, venivano divulgate numerose informazioni e raccomandazioni scientifiche, delle quali se ne citano solo alcune, quali:

-       la comunicazione di sicurezza diramata dalla FDA il 17/4/2014, poi aggiornata il 25.11.2014 (doc. 14);

-       le Linee guida sulla diagnosi e trattamento fibromiomatosi della SIGO, AOGOI e AGUI del 09/2014 (doc. 15 pagg. 14-/16- 52-56);

-       le evidenze scientifiche e le indicazioni approvate dal Consiglio direttivo SeGI il 30/6/2014 (doc.16);

-       le Linee guida Aiom 2016 su “Sarcomi dei tessuti molli e GIST” (doc. 17);

-       l'articolo “L'intervento chirurgico può favorire la diffusione del tumore? La risposta di Paolo Delrio, past president della Società Italiana di Chirurgia Oncologica” del 21.8.2017 (doc. 18);

-       il testo “Bisogni e prospettive future dei pazienti con LMS – il documento congiunto (position paper) della Fondazione Nazionale Leiomiosarcoma americana (NLMSF) e del Network Europeo dei pazienti con sarcoma (SPAEN)” (doc. 19);

-       la comunicazione agli ospedali italiani del 9/5/2014, da parte di Johnson&Johnson S.p.A., di sospensione della commercializzazione dei prodotti per la morcellazione (doc. 20).

Al riguardo, si evidenzia che SIGO, AOGOI, AGUI, SeGI e AIOM, in seguito all'entrata in vigore dell'art. 5, c.1, L.24/2017 ed al successivo DM 2/8/2017, sono iscritte nell'elenco delle società scientifiche e delle associazioni tecnico-scientifiche delle professioni sanitarie che possono elaborare le linee guida da pubblicare.

Inoltre, le Linee guida Aiom 2016 su “Sarcomi dei tessuti molli e GIST” (doc. 17), le quali raccomandavano fortemente che: “La morcellazione di lesioni uterine di natura da determinare non deve essere effettuata, sono state riconfermate sul punto nel 2021 e pubblicate, dall'Istituto Superiore di Sanità sul Sistema Nazionale Linee Guida (SNLG) così come previsto dalla cosiddetta “legge Gelli”.

In tale contesto di unanime stigmatizzazione della tecnica della morcellazione da parte delle letteratura scientifica mondiale, la signora Marcigliano fu sciaguratamente sottoposta, presso l’Azienda sanitaria resistente, a intervento di isterectomia con l’impiego di detta tecnica, peraltro senza ausilio di endobag (ovverosia di una sorta di sacchetto che racchiude il pezzo operatorio e all’interno del quale viene effettuata la morcellazione), come possibile desumere dalla documentazione di descrizione dell’intervento presente in cartella clinica (pagg. 13-14 doc. 3).

Il tutto con condotta gravemente negligente, imprudente e contraria alle linee guida, e senza tenere conto dei plurimi fattori di rischio che, secondo la buona pratica clinica, avrebbero dovuto invece far propendere uno specialista ginecologo accorto e prudente per la natura maligna della riscontrata neoformazione.

Infatti, come inequivocabilmente accertato dal Dott. Isa e dalla Dott.ssa Riviello, “la scelta della tecnica chirurgica eseguita, oltre ad essere stata incongrua è stata essa stessa causativa della disseminazione delle cellule tumorali con progressione di stadio del sarcoma uterino che correttamente asportato sarebbe stato limitato allo stadio I (pag. 14 relazione Dott.ssa Riviello); infatti, “sulla base di un ragionamento ex-ante, l’approccio terapeutico più appropriato era quello di provvedere a una isterectomia addominale, da condurre con tecnica di isterectomia totale en-bloc con salpingo-ooforectomia bilaterale, tenendo anche presente che si trattò di una Persona, in buone condizioni generali senza significative comorbidità con ridotta probabilità di complicanze post-operatorie pur considerando il maggior impegno operatorio per l’isterectomia addominale. L’intervento invece fu condotto con tecnica mininvasiva laparoscopica estraendo i tessuti rimossi per via vaginale dopo una morcellazione senza alcuna protezione del tipo endo-bag per minimizzar il rischio di disseminazione, il tutto in dissonanza alla buona pratica clinica e alle raccomandazioni delle linee guida. Quello che si paventò come rischio, per l’improvvida condotta messa in atto, immancabilmente accadde a danno della sig.ra Marcigliano(pagg. 15-16 relazione Dott. Isa).


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Violazione di regole cautelari in fase post-operatoria. Incongruità e omissioni dell’iter successivo all’intervento chirurgico.

Fermo quanto precede, si evidenzia, sotto ulteriore e autonomo profilo, come i sanitari in forze all’Azienda sanitaria resistente siano incorsi in molteplici e gravissime ulteriori violazione di regole cautelari anche successivamente all’improvvido intervento chirurgico eseguito, già di per sé fonte di gravissime responsabilità.

Come evidenziato dalla Consulente medico legale, “al momento della consegna dell’esame istologico, viene riportata la dicitura “sarcoma uterino stadio I” omettendo volutamente due dati fondamentali: il primo è che l’utero era stato morcellato (spezzettato) durante l’asportazione, e il secondo che la morcellatura era avvenuta proprio in corrispondenza della lesione maligna. Sarebbe sì stato un sarcoma di stadio I se solo fosse stato rimosso in maniera corretta. Una volta provocata l’apertura iatrogena dell’utero in corrispondenza della lesione non si poteva più parlare di primo stadio, ed infatti, senza correttamente informare la paziente i sanitari hanno consigliato la chemioterapia, ben cosci del rischio e della incongruità comportamentale associata all’intervento” (pag. 15 relazione Dott.ssa Riviello).

In altri termini: dopo avere colposamente morcellato un sarcoma altrettanto colposamente non diagnosticato, i sanitari dell’Arcispedale Sant’Anna omettevano di consigliare alla paziente la strategia terapeutica migliore, secondo la letteratura medica, ossia il reintervento ovvero il lavaggio antitumorale per ridurre il rischio di recidiva.

Nessuna indicazione veniva data dai medici del nosocomio ferrarese, che, invece, prescrivevano alla paziente dei cicli di chemioterapia; indicazione terapeutica del tutto incongrua, anche siccome tardiva, come riportato nelle relazioni degli specialisti Oncologo e Ginecologo-Medicolegale, ove si legge che:

-       “una volta che i sanitari si erano resi conto che la patologia della Marcigliano era costituita da un sarcoma morcellato (al primo esame istologico al massimo ai primi di ottobre) avrebbero dovuto proporre un tempestivo lavaggio antitumorale o la HIPEC per ridurre il rischio di recidiva a breve termine, anche se questo avrebbe dovuto implicare l’ammissione dell’errore” (pag. 17 relazione Dott.ssa Riviello);


-       “Circa la modalità di trattamento messa in atto occorre precisare che la strategia adiuvante chemioterapica non rappresenta un’opzione standardva inoltre fatto notare che la chemioterapia fu iniziata dopo un intervallo dalla chirurgia primaria di tre mesi, senza motivazioni legate a complicanze di tipo chirurgico; si tratta di una latenza che dal punto di vista oncologico è da ritenersi non funzionale a un approccio di tipo adiuvante/precauzionale… la malattia, sfuggita a ogni controllo, avrebbe potuto essere curata con buone probabilità di successo se fosse stata attuata una procedura più consona allo stato dell’arte erroneamente dato per scontato nel momento in cui (la paziente) si affidò a un’Istituzione sede Universitaria” (pag. 20-21 relazione Dott. Isa);

-       “Il tempo medio per la risposta istologica di un pezzo operatorio risulta di circa 20 giorni, se si sospetta una neoplasia tale tempo deve essere ridotto a 7-14 giorni. Vero che la patologia sarcomatosa deve essere riletta da un centro di riferimento come è stato il centro tumori di Milano, tuttavia tutta la procedura doveva essere eseguita in tempi rapidi.  In questo caso la risposta è stata di circa 2 mesi, determinando un colposo ritardo nella presa in carico presso l'oncologia, con l'aggravante della modalità di asportazione dell'utero e della incisione dello stesso proprio in corrispondenza della lesione sarcomatosa” (pag. 17 relazione Dott.ssa Riviello).

Tali omissioni e ritardi, gravemente negligenti, hanno, perciò, ulteriormente compromesso le possibilità di salvezza della Sig.ra Marcigliano, privandola, come detto, delle possibilità di ricercare con tempestività soluzioni salva vita, quali la resezione chirurgica per limitare la diffusione delle cellule cancerogene colposamente disseminate con la morcellazione e/o la chemio-ipertermia intraperitoneale (c.d. HIPEC).

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Alla luce di tutte le circostanze sinora esaminate, emerge già con chiarezza la evidente responsabilità, tanto dei sanitari quanto della struttura alle cui cure la Sig.ra Marcigliano si era rivolta, per avere manifestamente disatteso le regole tecniche di condotta che avrebbero dovuto essere osservate nella fattispecie.

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2.     Circa la sussistenza del nesso causale tra le condotte commissive e omissive dei sanitari in forze presso l’Azienda Ospedaliero Universitaria di Ferrara e il decesso della Sig.ra Elisabetta Marcigliano e/o, comunque, la significativa riduzione della durata e della qualità della sua vita residua.

Fermo quanto sopra esposto, si evidenzia ulteriormente come alcun dubbio possa ricorrere circa la sussistenza, nel caso di specie, di un nesso di causalità tra la condotta colposa dei sanitari e il decesso della Sig.ra Marcigliano e/o, comunque, la significativa riduzione della durata e della qualità della sua vita residua.

È, infatti, certo che la morte della Sig.ra Marcigliano sia stata la diretta conseguenza dell'aggravamento della patologia tumorale causato dal comportamento dei sanitari e non vi sia stato l’intervento di concause da sole idonee a cagionare l’evento. Quanto al nesso di causalità giuridica si deve, anzitutto, evidenziare che nel caso di specie le condotte dei sanitari non devono ascriversi (come più di sovente avviene nelle patologie tumorali) esclusivamente a delle omissioni (omessa o ritardata diagnosi) che pur vi sono state (omessa esecuzione della biopsia in sede di isteroscopia, ritardata diagnosi a causa anche della ritardata consegna del referto istologico), ma a vere e proprie condotte attive che hanno dato avvio al processo causale determinando una disseminazione iatrogena delle cellule tumorali.

Come chiaramente evidenziato nelle relazioni degli specialisti oncologo e medico legale:

-       “È indubbio che l’anticipato decesso della paziente è imputabile ai molteplici aspetti omissivi e commissivi della condotta incongrua sopra riportata” (pag. 16 Consulenza Dott.ssa Riviello);

-       “In conclusione è evidente, nell’analisi del caso che riguardò la sig.ra Marcigliano, come la scelta improvvida di eseguire una isterectomia per via laparoscopica, con morcellazione e senza alcuna misura atta a minimizzare il rischio di disseminazione neoplastica, abbia determinato un esito infausto nella storia naturale della sua malattia determinando il passaggio da un esito favorevole in termini di “più probabile che non” a uno decisamente sfavorevole sottraendo alla paziente consistenti chance di sopravvivenza” (pag. 24 relazione Dott. Isa);

-       “In caso di iter clinico corretto, le possibilità di sopravvivenza della sig.ra Marcigliano erano superiori al 75%, mentre a seguito delle predette incongruità comportamentali si sono concretizzate nello 0% a 5 anni. Non è solo la durata della vita che è stata ingiustamente ridotta dalle predette incongruità, ma la qualità della stessa è stata pesantemente influenzata dalla incongrua gestione(cfr. pagg. 16-17 relazione Dott.ssa Riviello);

-        “Il risultato di questa imprudente gestione del caso clinico si è resa responsabile con altissima probabilità della recidiva di malattia, condizionando l’anticipo del decesso riducendo, significativamente, le chance di sopravvivenza e il protrarsi di gravosa sofferenza fisica e morale per la signora Marcigliano e per coloro, tra i congiunti, che l’hanno assistita nel percorso della malattia recidivata” (pag. 24 relazione Dott. Isa).

In particolare, come chiarito dalla Dott.ssa Riviello, se la condotta dei sanitari fosse stata corretta la Sig.ra Marcigliano avrebbe avuto il 75% di probabilità di sopravvivenza oltre i 5 anni (che invece si sono concretizzate in 0% a 5 anni a causa della condotta dei sanitari) o, comunque, avrebbe potuto affrontare la malattia senza le inaudite sofferenze cagionatele dalla inaudita condotta dei sanitari.

In proposito, si sottolinea che il trattamento chemioterapico, che gravi conseguenze in termini di sofferenze ha causato, si è reso necessario proprio a causa dell’utilizzo della tecnica della morcellazione, in quanto nel sarcoma di tipo I (se tale fosse rimasta la patologia tumorale della paziente) detta terapia non sarebbe stata necessaria.

Da ultimo, si evidenzia ulteriormente che il nesso causale tra la condotta dei sanitari e la rapida e grave evoluzione della malattia risulta confermato dalla circostanza che, come osservato dal Dott. Isa, “La recidiva di malattia avvenne nello scavo pelvico … a testimoniare una correlazione con la disseminazione locoregionale secondaria alla morcellazione, piuttosto che per diffusione per via ematogena che caratterizza invece la metastatizzazione a distanza, nei casi di sarcomi” (pag. 20-21 relazione Dott. Isa). Inoltre le alte percentuali di sopravvivenza nei casi di sarcomi allo stadio I superavano il 75% mentre al III°- IV°, stadi raggiunti nel caso di specie dopo la morcellazione, erano del 45%-15/29 % come, del resto, si è verificato anche nel caso concreto. Infatti la sig.ra Marcigliano è sopravvissuta all'intervento per 2 anni e 10 mesi quando, secondo i dati riportati in perizia, senza morcellazione la paziente avrebbe potuto sopravvive, libera da malattia almeno 82,1 mesi. E ciò anche perché, al momento della diagnosi, la Signora Marcigliano aveva 53 anni, si trovava in un ottimo stato di salute e non presentava comorbidità che avrebbero potuto influenzare negativamente la sua possibilità di guarigione dalla neoplasia se fosse stata correttamente trattata allo stadio I come si doveva, infatti l’asportazione in toto dell'utero con la lesione sarcomatosa al suo interno, ancora capsulata e con perimetrio integro, avrebbe comportato un basso rischio di recidiva locale e metastatica.

Alla luce di quanto evidenziato e delle osservazioni del medico legale si può affermare con elevato grado di credibilità razionale che non solo la tempestiva diagnosi, ma anche e soprattutto la congrua condotta dei sanitari avrebbe impedito/non determinato o, comunque, significativamente ritardato l’esito infausto, stante, peraltro, l’assenza di decorsi causali alternativi.

Anche sotto questo profilo si ritiene, quindi, sussistente il nesso di causalità tra la condotta dei sanitari e l’evento in quanto come evidenziato nel presente atto a seguito dell’intervento chirurgico la Sig.ra Marcigliano ha patito intollerabili sofferenze e ha visto drasticamente ridotto il tempo di possibile sopravvivenza.

Tra l'altro, in un caso simile, deciso dalla Suprema Corte di Cassazione (Sent. Sez. 3 Civile n. 5641/2018), è stata confermata la sentenza di primo grado che aveva deciso per “una minore durata della vita e della sua peggiore qualità fisica e spirituale” di una paziente alla quale, per errore medico, non era stato tempestivamente e correttamente diagnosticato un carcinoma ai polmoni. Paziente che, in base alla CTU, con i dovuti approfondimenti diagnostici, avrebbe avuto il 65% di probabilità di sopravvivenza a 5 anni e che è invece deceduta due anni e mezzo dopo le prime analisi. In detta sentenza, infatti, viene effettuata una pregevole e approfondita disamina sul nesso causale tra condotta ed evento nonché sulla differenza tra chance perduta e diverso evento di danno. In particolare si precisa che: “Qualora l'evento di danno sia costituito non da una possibilità - sinonimo di incertezza del risultato sperato - ma dal (mancato) risultato stesso (nel caso di specie, la perdita anticipata della vita) non è lecito discorrere di chance perduta, bensì di altro e diverso evento di danno, senza che l'equivoco lessicale costituito, in tal caso, dalla sua ricostruzione in termini di “possibilità” possa indurre a conclusioni diverse”.

Si aggiunge, poi, che:

“Applicando tale criterio alla responsabilità sanitaria in ambito oncologico – quale quella che ci occupa -, possono pertanto formularsi le seguenti ipotesi:

- a)…

- b) La condotta colpevole ha cagionato non la morte del paziente (che si sarebbe comunque verificata) bensì una significativa riduzione della durata della sua vita ed una peggiore qualità della stessa per tutta la sua durata. In tal caso il sanitario sarà chiamato a rispondere dell'evento di danno costituito dalla minor durata della via e dalla sua peggiore qualità, senza che tale danno integri una fattispecie di perdita di chance – senza, cioè che l'equivoco lessicale costituito dal sintagma “possibilità di una vita più lunga e di qualità migliore” incida sulla qualificazione dell'evento, caratterizzato non dalla “possibilità di un risultato migliore” bensì dalla certezza (o rilevante probabilità) di aver vissuto meno a lungo, patendo maggiori sofferenze fisiche e spirituali.

c)...

d)...

circostanze del caso, come possibilità-perduta – se provato il nesso causale (certo ovvero “più probabile che non”), tra la condotta e l'evento incerto (la possibilità perduta) nella sua necessaria dimensione di apprezzabilità, serietà, consistenza”.

e). La condotta colpevole del sanitario ha avuto, come conseguenza, un evento di danno incerto: le conclusioni della CTU risultano, cioè, espresse in termini di insanabile incertezza rispetto all'eventualità di maggior durata della vita e di minori sofferenze, ritenute soltanto possibili alla luce delle conoscenze scientifiche e delle metodologie di cure del tempo.

Tale possibilità - i.e. tale incertezza eventistica (la sola che consenta di discorrere legittimamente di chance perduta) - sarà risarcibile equitativamente, alla luce di tutte le circostanze del caso, come possibilità-perduta – se provato il nesso causale (certo ovvero “ più probabile che non”), tra la condotta e l'evento incerto (la possibilità perduta) nella sua necessaria dimensione di apprezzabilità, serietà, consistenza” (Cass. civ., Sent. Sez. 3 Civile n. 5641/2018;indirizzo giurisprudenziale ribadito anche con Sent. Cass. Sez. 3 Civ. n. 28993 dell'11/11/2019).

Ovviamente, in entrambi i casi suesposti, per accertare che sussista il nesso causale, va seguito il criterio civilistico del “più probabile che non” (cfr., ex multis, Sent. Cass. Sez. Civ. III n. 8144/2022).

Nella vicenda che ci occupa, quindi, sussiste sia la condotta colposa dei medici, sia – in applicazione del criterio del “più probabile che non”- il nesso di causalità materiale e  giuridica di cui all'art. 40 c.p., come mutuato in sede civile,  a norma degli artt. 2043 e 1223 c.c. e in ossequio ai costanti insegnamenti di dottrina e giurisprudenza. Ciò in quanto sussiste un'alta probabilità (in termini sia statistici, sia logici) che dalla condotta (morcellazione senza sacchetto) sia conseguita, per la signora Marcigliano,  una lesione del diritto alla salute, dovuta al precoce aggravarsi dello stato patologico, nonché del diritto a condurre una vita più duratura e di migliore qualità, con conseguenti gravissimi danni biologici, morali e materiali.

Tra l'altro, come già evidenziato, secondo gli studi medici, i sarcomi dei tessuti molli, se in stato non avanzato, guariscono in circa la metà dei casi. Pertanto, se la signora Marcigliano non avesse subito l'intervento più volte richiamato, non avrebbe neppure rischiato una morte certa.

In subordine, nella denegata ipotesi in cui la morte della Sig.ra Marcigliano non dovesse essere ritenuta diretta conseguenza del comportamento dei sanitari, dovrebbe essere, in ogni caso e comunque, quantomeno riconosciuta la perdita di chance di sopravvivenza, da determinare percentualmente e da liquidare equitativamente.

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3.     Circa la disconvalida e, comunque, le irregolarità della cartella clinica relativa al ricovero per l’intervento chirurgico del 6.9.2018.

 Prima di addentrarci nella quantificazione dei danni non va, in ogni modo, sottaciuto che il signor Fornasari, dopo aver ottenuto le copie semplici della cartella clinica e aver riscontrato varie anomalie ha, con pec del 22/8/2022 (doc. 21), inoltrato all'azienda sanitaria istanza per ottenere le copie autentiche della cartella stessa, relative ai due ricoveri in Chirurgia Ginecologica e comprensive della stesura originaria dei documenti uno dei quali era stato disconvalidato e gli altri modificati.

L'istanza è stata evasa con grave ritardo, in quanto la consegna è avvenuta il 28/9/2022, dopo apposito sollecito-diffida del 23/9/2022 (doc. 22) e anche molto tempo dopo, come emerge dalla data apposta sull'autentica e cioè il 24/8/2022, dall'autentica stessa (doc. 3, pag, 58 e doc. 3, pag. 74 retro).

La documentazione autentica consegnata è rimasta, però, invariata rispetto a quella prodotta in copia semplice e cioè a dire che:

–      Il referto operatorio (doc. 3, pagg. 12,13, e 14) risultava ancora disconvalidato, in data 7/9/2018, dal chirurgo dr.ssa Iafelice Ilaria, senza che fosse rimasta alcuna evidenza di quanto disconvalidato e cioè del testo del precedente referto;

–       la scheda di dimissioni ospedaliere, sottoscritta dal Dr. Cremonini in data 17/8/2018 (doc. 2, pag.27), era ancora quella modificata il 20/9/2018 (circa un mese dopo) da Graziella Salvò, soggetto non professionalmente identificabile in quanto non si è riusciti neppure ad individuarlo in alcuno degli atti inerenti al primo ricovero; anche in questo caso, poi, non è stata prodotta copia della scheda ante modifica;

–       la scheda di dimissioni ospedaliere, sottoscritta in data 8/9/2018 (doc. 3, pag. 38) dal Dr. Cremonini, modificata circa due mesi dopo, dalla Dr.ssa Ruby Martinello, non è stata, anch'essa, integrata con la copia del testo precedente alla modifica.

Da quanto esposto, parrebbe quindi evidente che la compilazione dei suddetti documenti, facenti parte della cartella clinica e, come essa, atti pubblici a fede privilegiata, non è conforme al dettato dell'art. 7, D.P.R n. 445/2000. Articolo che espressamente statuisce: “qualora fosse necessario apportare variazioni al testo <dell'atto pubblico> si provvede in modo che la precedente stesura resti leggibile”. E ciò, in ogni modo, in concomitanza della prima redazione e non mesi dopo.

Infatti, secondo la costante giurisprudenza di legittimità in ordine alla compilazione delle cartelle cliniche, le annotazioni, oltre ad essere veritiere, devono essere effettuate nell'immediatezza dei fatti e così devono restare, anche se affette da errori materiali, al punto che, in caso contrario, “tutte le modifiche, le aggiunte, le alterazioni e le cancellazioni, integrano falsità in atto pubblico” (per tutte Sent. Cass. Pen. Sez. V, n. 42917 del 12/7-21/11/2011 e Sent. Cass. Pen. Sez. V, n. 55385/2018). E ciò perché.

E la condotta in questione non potrà che rilevare, altresì, ai fini della prova del nesso di causalità tra l’aggravamento della situazione patologica e la condotta dei sanitari. In proposito, infatti, la giurisprudenza è ormai consolidata nell’affermare che: “le omissioni della cartella clinica non conducono automaticamente a ritenere adempiuto l'onere probatorio  da parte di chi adduce di essere danneggiato, pur dovendosene tener conto, perché diversamente l'incompletezza verrebbe a giovare proprio a colui che con inadempimento al proprio obbligo di diligenza (….) tale incompletezza ha creato(cfr. tra le più recenti Cass. Civ. Sez. III, Sent. n.14261 del 24/2-8/7/2020 e Cass. Civ. Sez. III, Ord. n.4424 del 18/2/2021).

In ogni caso, le suddette condotte, anche omissive -considerato che, in seguito alla diffida inoltrata in data 23/9/2022 (doc. 21), le copie dei documenti modificati e di quello disconvalidato non sono state consegnate nel termine di 30 giorni, e neppure è stata motivata tale omissione-, tutte perpetrate da dipendenti dell'azienda, configurano, quantomeno e a tacer d’altro, un grave difetto di diligenza ex art. 1176, c. 2, c.c, da addebitare all'azienda sanitaria, ai sensi dell'art.1228 c.c.

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4.     Le responsabilità dell’Azienda Ospedaliero Universitaria di Ferrara con riferimento alla violazione degli obblighi informativi.

Sotto ulteriore profilo, occorre, poi, rilevare come l’Azienda Sanitaria resistente debba essere ritenuta responsabile anche per avere adottato la rischiosissima tecnica della morcellazione, peraltro senza utilizzo di endo-bag,non solo in contrasto con la buona pratica clinica, ma, altresì, senza alcuna preventiva condivisione dei possibili rischi con la paziente (come chiaramente evincibile anche dal consenso informato, in cui non si parla in alcun modo di tale tecnica chirurgica), integrando tali omissioni una gravissima lesione del diritto di autodeterminazione della Sig.ra Marcigliano.

Com’è noto, il consenso informato, inteso quale espressione della consapevole adesione al trattamento sanitario proposto dal medico:

-       da un lato, “si configura quale vero e proprio diritto della persona e trova fondamento nei principi espressi nell'articolo 2 della Costituzione che ne tutela e promuove i diritti fondamentali e negli articoli 13 e 32, comma 2, della Costituzione”;

-       dall’altro, “costituisce legittimazione e fondamento del trattamento, atteso che, senza la preventiva acquisizione di tale consenso, l'intervento del medico è – al di fuori che nei casi di trattamento sanitario per legge obbligatorio o in cui ricorra uno stato di necessità – sicuramente illecito, anche quando è nell'interesse del paziente” (Cass. Civ., Sez. III, 15.05.2018, n. 1749, in Guida al diritto 2018, 30, 43).

La violazione di tale obbligo informativo dà, dunque, luogo ad un danno suscettibile di un autonomo risarcimento, distinto da quello derivante dalle lesioni della salute, “anche in ragione della diversità dei diritti - rispettivamente, all’autodeterminazione delle scelte ed all’integrità psico-fisica - pregiudicati nelle due differenti ipotesi” (Cass. Civ., Sez. III, 11.11.2019, n. 28985; Cass. Civ. Sez. III, 20.05.2016, n. 0414; in senso conforme: Cass. Civ. Sez. III, 12.05.2018, n. 9053).

Ebbene, nel caso in esame, si ribadisce come, alla luce delle considerazioni sopra svolte, i sanitari che avevano in cura la Sig.ra Marcigliano erano tenuti ad assolvere all’obbligo informativo nei confronti della paziente, alla quale, tuttavia, nessuna informazione veniva fornita con riferimento i) ai rischi -elevatissimi- connessi al trattamento chirurgico praticato, ii) alle specifiche controindicazioni e alle possibili complicanze della tecnica operatoria prescelta, e, soprattutto, iii) all’esistenza delle possibili alternative diagnostiche e/o terapeutiche, che apparivano, nella specie, doverose, alla luce della letteratura medica, oltre che certamente preferibili e che, in ogni caso, la paziente aveva diritto di conoscere e scegliere.

In particolare, non fu reso noto alla paziente che la riscontrata neoformazione, già descritta come “di natura da determinarsi” (“ndd”), si sarebbe potuta rivelare maligna, che l’intervento si sarebbe svolto secondo la rischiosa tecnica della c.d. morcellazione dell'utero (di cui il ricorrente ha appreso solo a seguito dell’ottenimento di copia della cartella clinica), né, tantomeno, i noti rischi correlati all’adozione di tale tecnica procedurale per il caso in cui la neoformazione si fosse rivelata maligna, e neppure gli opposti vantaggi che, in una siffatta ipotesi, avrebbe avuto l’alternativa chirurgica consistente nella laparotomia classica. Neppure fu mai riferito della circostanza che la morcellazione era avvenuta proprio in corrispondenza della lesione maligna (come emerso successivamente e come evincibile dalla relazione della Dott.ssa Riviello).

La violazione di tali obblighi informativi è resa, peraltro, manifesta dal fatto che nella stessa cartella clinica relativa al ricovero è rinvenibile solo uno scarno modulo di consenso informato la cui presenza, per consolidata giurisprudenza, non è di per sé sola sufficiente a dare prova che sia stata fornita al paziente una informazione esaustiva sull’intervento e sui rischi e complicanze dello stesso (ex multis, cfr. Trib. Napoli, Sez. II, 24.09.2018, n. 8156).

Com’è noto, infatti, perché possa considerarsi giuridicamente valido, il consenso deve essere: i) personale (ossia deve essere prestato dal soggetto titolare del diritto tutelato); ii) informato (ossia l’interessato deve essere posto nella condizione di comprendere, inequivocabilmente ed in modo pienamente consapevole, in cosa consista e che conseguenze comporti l’intervento alla cui esecuzione presta il consenso); iii) specifico (ossia specificatamente riferito alle prestazioni che saranno fornite effettivamente, non essendo in alcun caso sufficiente un generico assenso a ricevere cure); iv) manifesto (ossia espresso in modo chiaro ed univoco); v) attuale e revocabile (e, dunque, fornito prima dell’inizio del trattamento e per l’intera durata dello stesso); vi) libero (ossia manifestato liberamente, senza costrizioni o raggiri).

Evidente, dunque, la responsabilità della struttura convenuta anche per non aver validamente acquisito il consenso della paziente all’intervento per cui è causa. Laddove, peraltro, fosse stata resa un’esaustiva informazione sulla natura e portata dell’intervento, la Sig.ra Marcigliano non avrebbe mai acconsentito all’esecuzione dello stesso con una tecnica il cui livello di rischio superava di gran lunga i benefici che ne sarebbero derivati.

Infatti, può benissimo presumersi, ex art. 2727 c.c., che la signora Marcigliano, di 56 anni, da tempo in menopausa e desiderosa di mantenere i suoi profondi affetti parentali (marito convivente, padre, fratelli e sorelle non conviventi) e le relazioni personali e professionali per il suo impegno gratuito di corista e di coordinatrice di cori anche a scopi benefici, non avrebbe di certo acconsentito, se ne fosse stata edotta, di correre i rischi connessi ad un intervento di morcellazione senza sacchetto e cioè a dire la possibile disseminazione delle cellule tumorali di un sarcoma – difficilmente individuabile preoperatoriamente ma potenzialmente esistente – nell'ambito dell'addome e nella pelvi. E ciò con probabilità di successive metastasi e di morte.

Infatti, la paziente, confidando nella funzione di garanzia propria del medico, non poteva supporre che l'intervento prospettatole avrebbe potuto comportare le gravissime sofferenze e le insidie alla sua stessa esistenza che le sono state occultate e che purtroppo si sono verificate. Insidie alle quali, con altissima probabilità, non avrebbe acconsentito una persona amante della vita, del marito e dei rapporti interpersonali ed attenta alle esigenze interiori ed anche sostanziali del genere umano, come risulta essere stata la paziente dalle commemorazioni allegate (doc. 23).   In pratica la signora Marcigliano, se fosse stata correttamente ed esaustivamente informata, avrebbe rifiutato di sottoporsi all'isterectomia in laparoscopia con morcellazione senza sacchetto.

Qualora, poi, le fosse stata prospettata, sempre in modo esaustivo, la possibilità di scegliere, come alternativa atta ad evitare detti rischi, l'intervento di “laparotomia classica” anziché quello di chirurgia laparoscopica – tra l'altro con morcellazione senza sacchetto della quale, si ribadisce, non è stata minimamente informata – avrebbe senza ombra di dubbio scelto la laparotomia.

E ciò perché, in considerazione delle suindicate caratteristiche e propensioni, la signora Marcigliano avrebbe senz'altro preferito sopportare “un tempo di degenza e di convalescenza più lungo, un maggior danno estetico (tra l'altro minimo) e un maggior dolore e fastidio post operatori”. Conseguenze, queste, di portata limitata e in parte effimera (danno estetico) rispetto al rischio di dover affrontare un'improba lotta contro la disseminazione di un grave tumore maligno così da poter perdere anticipatamente il bene prezioso ed unico della vita.

Di più: alla Sig.ra Marcigliano non veniva riferito, dopo l’intervento, che la morcellazione era avvenuta proprio in corrispondenza della lesione maligna, con conseguente disseminazione di cellule cancerogene a livello intraddominale, così privando la paziente, non solo della indispensabile conoscenza della propria reale situazione patologica, ma anche delle possibilità di ricercare con tempestività soluzioni salva vita e/o di ricorrere a nuovi interventi che potessero tentare di porre rimedio alla grave situazione innescata dallo sciagurato intervento chirurgico ad opera dei medici ferraresi. Secondo la letteratura scientifica, infatti, un reintervento in tempi rapidi per rimuovere i residui neoplastici e verificare la rapidità della diffusione della malattia avrebbe contribuito a limitare la diffusione delle cellule cancerogene colposamente disseminate con la morcellazione (come chiaramente riportato nella relazione della Dott.ssa Riviello, cfr. pag. 17).

.*.*.*.


Alla luce di quanto sin qui diffusamente esposto, risultano ampiamente allegate le plurime responsabilità ascrivibili alla struttura ospedaliera resistente, anche in via vicaria per le condotte poste in essere dal personale sanitario in forze presso la stessa; risulta altresì pienamente dimostrato, secondo il criterio del “più probabile che non”, il nesso eziologico intercorrente tra il decesso della Signora Marcigliano o, comunque, tra la significativa riduzione della durata della sua vita con peggioramento della qualità della stessa e le condotte negligenti, imprudenti ed imperite tenute dai sanitari, nonché, in subordine, come tali condotte abbiano quantomeno privato la Signora Marcigliano di significative chance di vivere più a lungo e in condizioni migliori.

Ne consegue che l’Azienda Ospedaliero-Universitaria di Ferrara dovrà essere, pertanto, chiamata a risarcire tutti i pregiudizi, patrimoniali e non patrimoniali, patiti e patiendi dal Sig. Mario Fornasari, ivi inclusi sia i danni subiti dalla Sig.ra Elisabetta Marcigliano e trasmissibili al suo erede iure haereditatis, sia i danni tutti da quest’ultimo subiti e subendi iure proprio, in conseguenza e per effetto delle descritte condotte.

.*.*.*.


5.       Quanto ai danni iure hereditatis.

Gravi ed evidenti appaiono i pregiudizi subiti dalla Sig.ra Elisabetta Marcigliano, deceduta all’età di 56 anni, dopo un lungo calvario, a seguito di un intervento di morcellazione uterina del tutto temerario, eseguito senza il consenso informato della paziente e disattendendo completamente le indispensabili norme di prudenza e perizia, il quale non solo la ha privata di ogni possibilità di sopravvivenza e, in ogni caso, della possibilità di vivere più a lungo e in condizioni migliori, ma la ha, addirittura, costretta a patire terribili sofferenze nella fase finale della sua esistenza, aggravate dallo sconforto di dover molto probabilmente, a breve, abbandonare definitivamente tutti gli affetti a lei più cari e dal sentirsi inutile e quindi un peso per il marito.

In proposito, gli specialisti oncologo e ginecologo, con dovizia di letteratura, hanno affermato che “Il trattamento incongruo ampiamente descritto e documentato … ha causalmente determinato una apprezzabile riduzione della durata della vita della sig.ra Marcigliano che avrebbe potuto avere una possibilità ben oltre al 75% di sopravvivenza oltre i 5 anni. In aggiunta la qualità della vita è stata nettamente peggiorata dalla necessità di un ricorso alla chemioterapia (causato dalla morcellazione) che peraltro è stata tardiva (dopo oltre 3 mesi dall'intervento) a causa di una tardiva risposta istologica. Se avesse avuto la corretta diagnosi e il corretto trattamento dovuto, è altamente probabile  (ben oltre il 50%) che avrebbe avuto molti anni liberi da malattia, in quanto gli esiti chirurgici dell’intervento correttamente eseguito non avrebbero comportato particolari invalidità quaod vitam et valetitudinem, (cicatrice ombelico pubica, isteroannessiectomia – utero e ovaie sono organi non essenziali, soprattutto in menopausa), inoltre non si sarebbe sottoposta a mesi di sofferenze causate da cure chirurgiche e chemioterapiche. Si aggiunga, anche, che la sig.ra Marcigliano al momento della diagnosi aveva 53 anni, si trovava in un ottimo stato di salute e non presentava comorbidità che avrebbero potuto influenzare negativamente la sua possibilità di guarigione dalla neoplasia se fosse stata correttamente trattata allo stadio I come si doveva” (cfr. relazione Dott.ssa Riviello, pag. 20).

Una adeguata liquidazione del danno dovrà tenere conto di come la Signora Marcigliano, a causa della malattia, abbia dovuto, fra le altre cose, forzatamente rinunciare alla sua attività, gratuita ma molto impegnativa e altrettanto appagante, di corista e di coordinatrice di cori per eventi musicali anche a scopi benefici; circostanza idonea a ripercuotersi gravemente sulla sfera dinamico-relazionale della paziente.

Questa situazione è senz'altro gravemente peggiorata successivamente, con l’irrimediabile progressione metastasica della malattia. Inutile precisare che le sofferenze patite dalla povera Signora Marcigliano siano state incommensurabili: la stessa si è, infatti, ritrovata non solo a dover convivere con dolori lancinanti, ma anche ad assistere cosciente al progressivo aggravamento delle proprie condizioni di salute, con la certezza che non sarebbe sopravvissuta.

La sofferenza morale interiore si è protratta per tutto il periodo di sopravvivenza, durante il quale sono state inevitabilmente compromesse tutte le abitudini di vita della signora Marcigliano, nonché gli assetti relazionali che le erano propri, sconvolgendo la sua quotidianità e privandola di occasioni per la realizzazione della sua personalità nel mondo esterno. 

In proposito, la Consulenza medico-legale ha chiarito che: “è necessario considerare anche l’inabilità temporanea conseguita a tale comportamento incongruo, essa è computabile in un totale di 31 mesi (959 giorni) … Si computa Inabilità temporanea parziale al 75% dal 04/12/2018 al 22/02/2019, per un totale di 80 giorni periodo nel quale si è sottoposta ai cicli di chemioterapia, caratterizzata di alopecia, nausea e vomito estrema astenia,  segue un successivo periodo di relativa stabilità clinica di circa 14 mesi (437 giorni) con una ITP al 35% fino al 04/05/2020 quando si sottoponeva agli accertamenti che evidenziavano la ripresa della malattia e riprendeva i cicli di chemioterapia, con gravissimi effetti collaterali, oltre ad episodi sincopali marcati che giustificano il riconoscimento di una ITP al 85% di 135 giorni fino al 16/09/2020. Iniziava, poi, un periodo di inabilità assoluta dall’intervento demolitivo del 16/09/2020 all’exitus del 20/07/2021 per un totale di 307 giorni nei quali le condizioni sono state persistentemente scadenti, tra marcate sofferenze fisiche e psichiche, che totalizzavano interamente la vita della sig.ra Marcigliano” (cfr. relazione Dott.ssa Riviello, pag. 20).

Ricorrono, pertanto, i presupposti per il risarcimento sia del danno morale terminale (c.d. danno da “lucida agonia” o catastrofale, consistente nella sofferenza data dalla percezione cosciente di chi assiste lucidamente allo spegnersi della propria vita nella fase terminale della stessa), sia del danno c.d. “biologico terminale” (inteso quale lesione del bene salute e dell’integrità personale della vittima nel periodo antecedente la morte). E, tanto, anche alla luce:

-       sia di quanto accertato dalla Consulenza medico-legale, che in proposito ha così affermato “Si tenga conto nella valutazione, anche della componente del danno catastrofale, (danno terminale) stante la consapevolezza via via più consistente di non avere più possibilità di sopravvivenza e del sopraggiungere del decesso, pensieri che si sono fatte più consistenti dopo il maggio 2020 alla comparsa di recidiva di malattia” (cfr. relazione Dott.ssa Riviello, pag. 20),

-       sia di quanto documentato dalla cartella clinica del Centro Hospice della Fondazione ADO di Ferrara (docc. 5-6),

-       sia di quanto statuito sul punto dalla più recente giurisprudenza, che ha avuto occasione di chiarire come: “In caso di morte causata da un illecito, il danno morale terminale deve essere tenuto distinto da quello biologico terminale, in quanto il primo (danno da lucida agonia o danno catastrofale o catastrofico) consiste nel pregiudizio subito dalla vittima in ragione della sofferenza provata nel consapevolmente avvertire l'ineluttabile approssimarsi della propria fine ed è risarcibile a prescindere dall'apprezzabilità dell'intervallo di tempo intercorso tra le lesioni e il decesso, rilevando soltanto l'integrità della sofferenza medesima; mentre il secondo, quale pregiudizio alla salute che, anche se temporaneo, è massimo nella sua entità e intensità, sussiste, per il tempo della permanenza in vita, a prescindere dalla percezione cosciente della gravissima lesione dell'integrità personale della vittima nella fase terminale della stessa, ma richiede, ai fini della risarcibilità, che tra le lesioni colpose e la morte intercorra un apprezzabile lasso di tempo” (Cass. civ., ord. 5.05.2021, n. 11719).

Tali danni dovranno essere quantificati sulla base dei criteri stabiliti dall’Osservatorio sulla Giustizia di Milano (Tabelle di Milano), applicando una adeguata personalizzazione che tenga conto di tutti gli aspetti sopra descritti. Da un primo calcolo, comunque, i danni, senza personalizzazione, ammonterebbero a circa € (...) di invalidità temporanea  e ad €  (...) per 100 gg. di “danno morale terminale per lucida agonia”.       

Accanto a tali voci di danno, dovrà essere, altresì, risarcito il danno da lesione del diritto alla autodeterminazione, sia in relazione alla tecnica operatoria alternativa e meno rischiosa percorribile, sia in relazione alle possibili terapie salvavita esistenti all’epoca dei fatti.

Del resto, anche la più recente giurisprudenza, sul punto, ha affermato come: “laddove sia provata la mancata acquisizione del consenso informato, il relativo danno, consistente in una autonoma lesione del diritto all'autodeterminazione delle scelte terapeutiche da liquidarsi equitativamente ex art. 1226 c.c., deve essere risarcito distintamente dagli altri danni (segnatamente, biologico e morale) patiti dalla vittima” (Trib. Roma, sez. II, 07.01.2018, n. 46726).

Tale danno dovrà essere, pertanto, valutato autonomamente ed in via equitativa, ex art. 1226 c.c., quale danno-evento ulteriore e diverso rispetto al danno alla salute patito dalla Signora Marcigliano.

In proposito, nel richiamare integralmente le considerazioni diffusamente svolte al paragrafo 3 che precede, basti qui solo aggiungere che si può ben immaginare, sotto il profilo morale-soggettivo, come possa essersi sentita la paziente quando si è resa conto che le era stato asportato, con una sì rischiosa tecnica, un sarcoma e non un tumore benigno, come le era stato ipotizzato, senza avvertirla della possibile malignità. Ma, soprattutto, quali dubbi e paure le debbano essere insorti sulle modalità e sull'efficacia dell'intervento chirurgico eseguito. Senz'altro le sarà insorto anche un forte senso di disperazione, dovuto al lancinante dubbio di non aver potuto disporre di sé, scegliendo l'alternativa terapeutica più cautelativa.

Per la quantificazione del danno conseguente alla lesione del diritto all'autodeterminazione, si ritiene sussista quel pregiudizio “di eccezionale entità” in relazione al quale le Tabelle di Milano 2021 consentono di procedere a una “liquidazione oltre € 20.000”, del quale sussistono tutti i presupposti, ossia:

–      Notevole entità e irreversibilità delle sofferenze fisiche dovute ai postumi conseguenti al trattamento non preceduto da consenso (tenuto conto del precoce e aggressiva progressione della malattia e del decesso della paziente);

–      gravissima sofferenza interiore conseguente al trattamento non preceduto da consenso ed alla lesione del diritto all'autodeterminazione (consapevolezza di aver perso occasioni di miglior vita e di sopravvivenza);

–      paziente (non informato) particolarmente vulnerabile, considerata l'età e il suo stato ginecologico;

–      intervento (non preceduto da consenso) molto rischioso per la salute della paziente con alternativa terapeutica;

–      gravissima violazione dell'obbligo informativo, tenuto conto dei gravissimi rischi connessi alla morcellazione.

.*.*.*.


5.1.Quanto al danno da perdita rapporto parentale

Del tutto evidente è la risarcibilità, in favore del Sig. Fornasari, unico convivente di un lungo e intenso rapporto non confluito in filiazione (doc.1), del danno da perdita del rapporto parentale, anche solo in considerazione della massima prossimità del legame familiare con la Signora Marcigliano (moglie).

Conformemente alla più recente giurisprudenza, il danno da perdita del rapporto parentale patito dai familiari, da risarcire “integralmente ma anche unitariamente”, dovrà essere apprezzato e valutato nelle sue distinte componenti, morale e dinamico-relazionale, ossia con riferimento tanto alla “sofferenza eventualmente patita, sul piano morale soggettivo, nel momento in cui la perdita del congiunto è percepita nel proprio vissuto interiore”, quanto a “quella, viceversa, che eventualmente si sia riflessa, in termini dinamicorelazionali, sui percorsi della vita quotidiana attiva del soggetto che l'ha subita” (Cass. civ. n. 28989/2019).

Ebbene, nel caso di specie, il Sig. Mario Fornasari ha patito sia la sofferenza morale, intesa quale turbamento dell’animo, dolore intimo sofferto e “crudo dolore” di assistere, impotente, al calvario vissuto dalla moglie, consapevole della sua dipartita imminente, sia il radicale sconvolgimento che la morte dell’amata Elisabetta ha determinato nella sua vita.

Basti solo considerare come la scomparsa precoce della Sig.ra Marcigliano, avvenuta in circostanze così dolorose e strazianti, abbia profondamente sconvolto la vita del Sig. Fornasari, marito devotissimo e sempre presente, che si è trovato ad affrontare la perdita prematura della propria consorte dopo aver assistito impotente alla sua sofferenza indicibile e all’inesorabile deterioramento delle sue facoltà fisiche.

Tanto ha causato al Sig. Fornasari atroci patimenti, patemi d’animo e turbamenti interiori che inevitabilmente lo accompagneranno per il resto della sua vita, per la perdita della vicinanza, dell'affetto e del supporto che, nella maturità della vita -il signor Fornasari aveva, al decesso della moglie, 66 anni- rappresentano un sostegno molto importante per la continuazione della stessa.

Si può, infatti, ben comprendere come l’esponente sia stato non soltanto irreparabilmente turbato dal dolore per l’atroce agonia sofferta dalla propria moglie e per la perdita subita, ma soprattutto intimamente colpito dalla consapevolezza, che non gli dà tregua, che la propria compagna di vita si sia spenta, a seguito di indescrivibili e inutili agonie, a causa delle macroscopiche e inescusabili negligenze, imprudenze e omissioni tutte riconducibili all’Azienda sanitaria resistente, aspramente stigmatizzate da tutti i Consulenti specialisti chiamati a pronunciarsi sulla vicenda.

A ulteriore conferma dell'intensità del rapporto coniugale e del legame tra il Sig. Fornasari e la Signora Marcigliano e della conseguente gravità, per il superstite, della sua prematura interruzione, si tenga conto di come il ricorrente si è prodigato, prima, nella ricerca di alternative terapeutiche per attenuare i patimenti della moglie, che rappresentava per lui un fondamentale sostegno morale e la principale ragione di vita, e, in seguito, nel garantire sempre alla propria consorte, con amore e dedizione, un'assidua vicinanza fisica e morale durante il lungo “calvario” dalla stessa patito, supportandola anche nella somministrazione delle cure a domicilio e cercando sempre di sorreggerla psicologicamente, sino al decesso, come peraltro risulta dalle cartelle cliniche dell'ADO relative sia al periodo dell'assistenza domiciliare, sia alla degenza presso l’Hospice Ado di Ferrara (docc. 5-6).

Quanto alle ripercussioni sul piano esistenziale, si precisa come il Sig. Fornasari, giornalista da alcuni anni in pensione, poteva condividere tempo, interessi e relazioni con la moglie che invece ha, purtroppo, perso e, conseguentemente, viva oggi in una condizione di cupa tristezza, e abbia limitato drasticamente i contatti con il mondo esterno, anche per il timore che, incontrando amici o conoscenti, possano riaffiorare i ricordi della tragica vicenda per cui è causa.

Tutti tali pregiudizi sono stati, peraltro, accertati anche nella Consulenza medico-legale a firma della Dott.ssa Riviello, che, in proposito, si è così pronunciata: “il marito ha vissuto con lei ogni singolo momento del predetto iter clinico, occupandosi con somma dedizione a tutte le necessità materiali e morali della consorte, pertanto anche lui merita un giusto risarcimento sia per la prematura perdita parentale, sia per il doloroso calvario che ha dovuto attraversare. Il sig. Fornasari è stato una persona molto attiva e impegnata nel sociale, ricco di risorse professionali e umane e, pur non essendo ricorso a figure specialistiche di supporto psicologico, ha subito uno stravolgimento della propria vita stante lo stretto rapporto con la di lui consorte con la quale condivideva una vita trascorsa insieme, stessi interessi e impegno sociale e umanitario” (cfr. Relazione Dott.ssa Riviello, pag. 21).

 Tali danni dovranno essere liquidati in ossequio ai noti indirizzi forniti dalla Corte di Cassazione (Cass.Civ. Sent. n. 10579 del 21/4/2021 e Cass. Civ. Sent. n. 33005 del 10/11/2021), che di recente  ha ritenuto non adeguati i parametri previsti dalle Tabelle di Milano e ha reputato più idoneo un sistema a punti in modo da valutare e quantificare ciascuna delle variabili rilevanti ai fini del risarcimento.

Tale tipo di calcolo si rinviene nelle Tabelle di Roma 2019 e, applicandolo al nostro caso, si ottengono, in totale, 32 punti sommando il punteggio di ognuna delle seguenti varianti:

-       rapporto di parentela del congiunto,

-       età della vittima,

-       età del congiunto,

-       stato di convivenza con la vittima,

-       altri familiari conviventi e altri familiari sino al 2° grado non conviventi.

Convertendo, poi, il punteggio nel valore economico, si determina un danno di (...). Detto pregiudizio, comunque, dovrà essere effettivamente liquidato tenuto conto del verosimile arco temporale in cui il marito avrebbe potuto ulteriormente godere, sul piano affettivo, di conforto e di sostegno morale, del rapporto con la moglie deceduta anzitempo (Cass. Civ. Sez.III, sent. n.15991 del 21/7/2011).

.*.*.*.


2.1.Quanto al danno patrimoniale.

Da ultimo, si rileva, poi, come il Sig. Fornasari abbia, purtroppo, subito anche ingenti danni di naturapatrimoniale, che dovranno essergli risarciti sia iure hereditatis, sia iure proprio (questi ultimi per quanto attiene ai pregiudizi prodottisi in seguito al decesso della Sig.ra Marcigliano).

Detti pregiudizi si sostanziano:

-       da un lato, nelle spese affrontate, che comprendono sia le spese sanitarie sostenute per terapie che potessero, se non salvare la paziente, almeno alleviarne ed allungarne la sopravvivenza (docc. 10 e 24), sia le spese per le consulenze medico-legali necessarie ad approfondire le responsabilità della struttura sanitaria resistente e al fine di far valere in giudizio i propri diritti (doc. 25)[6], per un totale di (...) GC1]

-       dall’altro, nel danno conseguente alla perdita delle contribuzioni economiche che la Signora Marcigliano avrebbe assicurato alle esigenze familiari, apprezzabile, dunque, nella perdita della capacità lavorativa e reddituale anche futura e/o, comunque, nella perdita degli apporti alle esigenze familiari suscettibili di valutazione economica.

Il danno in questione potrà essere liquidato, in ossequio ai consolidati insegnamenti della Suprema Corte (cfr., ex multis, Cass. civ., 4 febbraio 2020, n. 2463),  utilizzando come parametro di riferimento il triplo dell’assegno sociale (...), calcolato sulla base di tredici mensilità (...) e moltiplicando tale dato per il numero di anni di aspettativa di vita residua (26 anni, nel caso di specie, pari alla differenza tra l’aspettativa di vita media di un individuo di sesso femminile, di 82 anni, e l’età della Sig.ra Marcigliano al momento del decesso, 56 anni). Il tutto per un importo complessivo di (...). Importo che andrà proporzionato alla residua possibilità di vita della paziente in quanto inizialmente affetta da un tumore al primo stadio.

.*.*.*.

Tutto ciò premesso e considerato, il Sig. Mario Fornasari, come sopra rappresentato, difeso e domiciliato,

CHIEDE

che l’Ill.mo Tribunale adito, contrariis reiectis, Voglia

-       disporre, ai sensi dell’art. 696 bis c.p.c., previa fissazione dell’udienza di comparizione delle parti, Consulenza Tecnica preventiva ai fini della composizione della lite, che, esaminati gli atti e i documenti depositati agli atti del presente procedimento, e quelli ulteriori occorrendi, eventualmente acquisiti anche presso terzi, ed effettuati tutti gli opportuni e dovuti accertamenti ed acquisita ogni dovuta informazione, anche presso terzi, sia volta a:

-       accertare, in capo alla Azienda Ospedaliero Universitaria di Ferrara, in persona del suo legale rappresentate pro tempore, gli illeciti e gli inadempimenti meglio descritti in narrativa e le conseguenti responsabilità, dirette e vicarie, anche ai sensi dell’art. 7 L. n. 24/2017, nonché degli artt. 1218, 1228, 2229 e ss, 2043, 2049, 2050 e 2059 c.c.; 185 e 589, co. 3 c.p.c.,

-       accertare, descrivere e quantificare i danni tutti, patrimoniali e non patrimoniali, anche ex artt. 1223, 2056 e 2059 c.c. e 185 c.p., patiti e patiendi dal Sig. Mario Fornasari, iure proprio e iure hereditatis, in conseguenza dei fatti meglio descritti in narrativa, oltre interessi, rivalutazione monetaria e maggior danno, dal dì del dovuto al saldo;

Con espressa riserva di richiedere le spese ed i compensi relativi al presente procedimento nell’instaurando giudizio di merito e con ogni più ampia riserva, anche istruttoria.

Sin da ora si nomina come consulente tecnico di parte  la dr.ssa Chiara Riviello.

Si producono, in copia, i seguenti documenti:

1)    Stato di famiglia storico;

2)    Cartella clinica del ricovero 15.8.2018 – 17.8.2018 della Sig.ra Marcigliano Elisabetta presso l'U.O di Ostetricia e Ginecologia dell'Arcispedale Sant'Anna di Ferrara;

3)    Cartella clinica del ricovero 5.9.2018 – 8.9.2018 della Sig.ra Marcigliano Elisabetta presso l'U.O di Ostetricia e Ginecologia dell'Arcispedale Sant'Anna di Ferrara;

4)    Cartella clinica U.O di Oncologia Clinica dell'Arcispedale Sant'Anna di Ferrara;

5)    Cartella ricoveri presso il Centro Hospice della Fondazione ADO di Ferrara;

6)    Cartella assistenza domiciliare Fondazione ADO di Ferrara;

7)    Relazione tecnica Dr. Giorgio Scagliarini;

8)    Relazione tecnica Dr. Luciano Isa:

9)    Relazione tecnica Dr. Chiara Riviello;

10) Esito sequenziamento genetico eseguito presso la FoundationOne Heme di Penzberg, Germania;

11) Richiesta risarcitoria 13.1.2023;

12) Riscontro 18.1.2023;

13) Trasmissione documentazione richiesta d.d. 6.2.2023;

14) Comunicazione di sicurezza diramata dalla FDA il 17/4/2014, poi aggiornata il 25.11.2014;

15) Linee guida sulla diagnosi e trattamento fibromiomatosi della SIGO, AOGOI e AGUI del 09/2014;

16) Indicazioni approvate dal Consiglio direttivo SeGI il 30/6/2014 in materia di “Controversie sulla morcellazione laparoscopica di utero e miomi”;

17) Linee guida Aiom 2016 su “Sarcomi dei tessuti molli e GIST”;

18) Articolo “L'intervento chirurgico può favorire la diffusione del tumore? La risposta di Paolo Delrio, past president della Società Italiana di Chirurgia Oncologica” del 21.8.2017;

19) Testo “Bisogni e prospettive future dei pazienti con LMS – il documento congiunto (position paper) della Fondazione Nazionale Leiomiosarcoma americana (NLMSF) e del Network Europeo dei pazienti con sarcoma (SPAEN)”;

20) Comunicazione agli ospedali italiani del 9/5/2014, da parte di Johnson&Johnson S.p.A., di sospensione della commercializzazione dei prodotti per la morcellazione;

21)  PEC del 22.8.2022;

22) PEC del 23.9.2022;

23) Commemorazioni

24) Fatture intervento chirurgico Prof. Corcione;

25)  Fatture spese perizie medicolegali.

.*.*.*.

Ai sensi e per gli effetti di cui al d.p.r. 30 maggio 2002, n. 115, si dichiara che il valore della presente controversia è indeterminabile e che, pertanto, il contributo unificato da versarsi, ridotto della metà (trattandosi di procedimento speciale di cui al libro IV, titolo 1, c.p.c.) è pari a 259,00 Euro.

..*

Bologna-Ferrara, 10 maggio 2023

Prof. Avv. Carlo Berti                                                           Avv. Giulia Caruso

 

 


[1] Di seguito si ripercorreranno le dolorose tappe del drammatico iter clinico della Sig.ra Marcigliano onde evidenziare le gravi condotte colpose dei sanitari che l’hanno avuta in cura nel primo e nel secondo ricovero presso l’Arcispedale Sant’Anna di Ferrara. A tal fine si allegano le cartelle cliniche del primo (doc. 2) e del secondo ricovero (doc. 3), rilasciate dall’Ospedale, a cui si farà riferimento per la valutazione dei documenti in esse contenuti, richiamando ove necessario i numeri di pagina dei referti in esse riportati. Si allega, inoltre, ai fini di una compiuta valutazione circa tutto il percorso diagnostico e di cura a cui ha dovuto sopportare la Sig.ra Marcigliano, anche la documentazione relativa all’iter clinico presso l’U.O. di Oncologia dell’Arcispedale Sant’Anna di Ferrara (doc. 4), nonché ai ricoveri presso la Fondazione ADO e alla assistenza domiciliare prestata dalla medesima Fondazione (docc. 5 e 6).

 

[2]In particolare, nella scheda di autorizzazione all’intervento la paziente prestava il consenso a:“LPS operativa: isterectomia totale annessiectomia bilaterale, ev lisi di aderenze, ev. chirurgia sul tratto gastrointestinale e/o sulle vie urinarie, ev. laparotomia (pagg. 5-6 doc. 3).

[3]Con il termine morcellazione si indica la riduzione di un tessuto solido (in questo caso, l’intero corpo uterino) in frammenti di dimensioni inferiori, onde consentirne l’estrazione attraverso piccoli fori o, come nel caso di specie, per via vaginale. Infatti, come emerge dalla descrizione dell’intervento contenuta nel relativo verbale “l’estrazione del pezzo operatorio avvenne per via vaginale con morcellazione”, senza ausilio di endobag (pagg. 13 e 14 doc. 3).

 

[4]In proposito, preme tuttavia sin da ora precisare che, come chiarito dalla Consulenza Medico Legale a firma della Dott.ssa Riviello, non era corretto, alla luce di tutte le caratteristiche del caso di specie, qualificare il sarcoma come di “stadio I”. La Consulente chiarisce, infatti, che: “Al momento della consegna dell’esame istologico, viene riportata la dicitura “sarcoma uterino stadio Iomettendo volutamente due dati fondamentali: il primo è che l’utero era stato morcellato (spezzettato) durante l’asportazione, e il secondo che la morcellatura era avvenuta proprio in corrispondenza della lesione maligna. Sarebbe sì stato un sarcoma di stadio I se solo fosse stato rimosso in maniera corretta. Una volta provocata l’apertura iatrogena dell’utero in corrispondenza della lesione non si poteva più parlare di primo stadio(pag. 15 relazione Dott.ssa Riviello).

 

[5]In data 22.7.2020, la paziente veniva sottoposta a nuova TAC addome+torace, che rilevava un incremento della neoformazione pelvica (pag. 146 – 147 doc. 4: Referto TAC 22.7.2020).

[6]È infatti orientamento giurisprudenziale consolidato quello in forza del quale “ Le spese sostenute per la consulenza tecnica di parte, la quale ha natura di allegazione difensiva tecnica, rientrano tra quelle che la parte vittoriosa ha diritto di vedersi rimborsate (cfr. Trib. Piacenza, 18 ottobre 2011, n. 780, che riprende il principio già sancito da Cass., 16 giugno1990, n. 6056 e da Cass., 11 giugno 1980, n. 3716).

 

 [GC1]Inserire fattura Dott.ssa Riviello

 
 

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